Sono trascorsi 33 anni da quel 29 giugno del 1972. Era la festa di san Pietro, principe degli apostoli. Era la festa di san Paolo, colui che ha portato il Vangelo di Cristo fino all’estremo Occidente. E in quel 29 giugno, festa dei santi protettori di Roma, il successore di Pietro che aveva preso il nome di Paolo lanciò un grido drammatico. Paolo VI parlò del nemico di Dio per antonomasia, di quel nemico dell’uomo che si chiama Satana. Il nemico della Chiesa. «Attraverso qualche fessura» denunciò Paolo VI «il fumo di Satana è entrato nella Chiesa». Un grido angoscioso, che lasciò stupiti e scandalizzò molti, anche all’interno del mondo cattolico.
E oggi, 33 anni dopo? Quel fumo è stato allontanato, o ha invaso altre stanze?
Un attacco voluto e mirato quello lanciato da monsignor Krzysztof Charamsa, alla vigilia dell’apertura sul sinodo sulla famiglia che già preannuncia uno scontro tra la corrente tradizionalista e quella progressista. Frutto di una strategia mirata a scardinare la serenità dei lavori della stessa. Ma chi c’è dietro a questa strategia? Da diverso tempo si parla delle lobby come elemento disgregante all’interno della chiesa cattolica e tra queste quella Gay.
A denunciare questo pericolo incombente di “UNA LOBBY GAY talmente potente da essere pericolosa per la sicurezza del Pontefice”. Ne parla Elmar Maeder, 51 anni, svizzero del Canton San Gallo, che dal 2002 al 2008 comandò le guardie del Papa. Maeder, in un’intervista apparsa oggi sul settimanale elvetico, Schweiz amSonntag, non va per il sottile nel denunciare il potere degli ambienti omosessuali, in Vaticano. “Dell’esistenza di quella lobby gay- afferma – posso parlare per esperienza personale”. Tanto che l’ex-comandante delle Guardie Svizzere dichiara di aver messo in guardia i suoi uomini, dalle attenzioni di taluni esponenti della curia particolarmente “lascivi”. “Il problema – dice ancora Maeder -è che questa rete è composta di persone talmente fedeli, l’una all’altra, da costituire una sorta di società segreta”.
Anche Papa Francesco ha ampiamente denunciato questo fenomeno:
Sei mesi fa, sul volo di ritorno da Rio, il Pontefice ha dichiarato: «Si scrive tanto della lobby gay. Io ancora non ho trovato chi mi presenti la carta d’identità in Vaticano con scritto “gay”. Dicono che ce ne sono. Credo che quando uno si trova con una persona così, deve distinguere il fatto di essere un gay dal fatto di fare una lobby, perché le lobby tutte non sono buone.
Giovedì scorso, il pontefice ha ricevuto i delegati della Confederazione di Religiosi Latinoamericana e dei Caraibi (Clar), e sul sito web cileno Reflexion y Liberacion è stato pubblicato un resoconto dell’incontro, con varie frasi significative del Papa. Interrogato sulla sua volontà di riforma, Francesco ha risposto: «Eh sì, è difficile. Nella curia c’è gente santa, santa davvero. Ma esiste anche una corrente di corruzione, anche questa esiste, è vero. Si parla di una lobby gay ed è vero, è lì… Ora bisogna vedere cosa possiamo fare al riguardo». «Non posso essere io a fare la riforma, queste sono questioni di gestione e io sono molto disorganizzato, non sono mai stato bravo per questo», ha ammesso il Papa, aggiungendo che ha fiducia nella commissione cardinalizia che ha creato con questo incarico.
Bomba mediatica in Vaticano. A meno di 24 ore dall’inizio del Sinodo dei vescovi sulla famiglia monsignor Krzysztof Charamsa, 43 anni, polacco e teologo di primo piano nella Congregazione per la dottrina della fede, ha fatto coming out: “Sono un gay felice e ho un compagno”. Immediata e durissima la reazione della Santa Sede. Il monsignore è stato subito allontanato dal suo incarico in Vaticano e ora rischia un processo canonico nella sua diocesi di Pelplin in Polonia che prevede come pena massima la riduzione allo stato laicale.
“A proposito delle dichiarazioni e interviste rilasciate da monsignor Krzystof Charamsa – ha affermato il portavoce vaticano padre Federico Lombardi – si deve osservare che, nonostante il rispetto che meritano le vicende e le situazioni personali e le riflessioni su di esse, la scelta di operare una manifestazione così clamorosa alla vigilia dell’apertura del Sinodo appare molto grave e non responsabile, poiché mira a sottoporre l’assemblea sinodale e una indebita pressione mediatica. Certamente monsignor Charamsa non potrà continuare a svolgere i compiti precedenti presso la Congregazione per la dottrina della fede e le università pontificie, mentre gli altri aspetti della sua situazione sono di competenza del suo ordinario diocesano”.
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