È stato l’Apostolo missionario per eccellenza: grande viaggiatore, grande predicatore. E dove non arrivava con la voce, arrivava con le sue celebri lettere: bellissime, potentissime, piene di insegnamenti morali e di illuminazioni dottrinali.
Per non parlare delle intuizioni mistiche, delle profonde verità teologiche. E che dire della sua parola suadente, della genialità del pensiero limpido e preciso? Il tutto coronato da una personalità vigorosa, una volontà ferrea e da uno spirito ardente.
Lui, come si sarà capito, è San Paolo: l’Apostolo delle Genti. Insomma, un predestinato. Ma anche Paolo non è sempre stato Paolo, il più ardente dei missionari. Prima fu Saulo, il persecutore.
Prima di conoscere Cristo, era stato educato nella più stretta adesione alla Legge mosaica. Al punto che la sua osservanza poteva dirsi «irreprensibile». Paolo aveva visto in Gesù il pericoloso sovvertitore delle più sacre tradizioni del popolo ebraico. Per lui era solo un nemico da combattere senza pietà.
Un feroce persecutore di Cristo e della Chiesa
Il suo fanatismo anticristiano si spinse fino al punto raccontato dagli Atti degli apostoli, nel punto in cui si racconta del martirio di santo Stefano: «Saulo era fra coloro che approvarono la sua uccisione» (At 8, 1). Il giovane Saulo era dunque un feroce avversario dei cristiani, convinto e crudele, che aveva ottenuto di poter organizzare la persecuzione contro di loro. Con gli stessi truci sentimenti si stava recando a Damasco per l’ennesima azione punitiva contro i seguaci di Cristo. Ed è in quel frangente che Dio lo coglie, come in un agguato, con una folgore luminosissima che lo sbalza da cavallo e lo acceca. È allora che una voce lo rimprovera: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?». E Saulo, tremante di paura: «Chi sei, Signore?». E la voce: «Io sono Gesù che tu perseguiti. Orsù, alzati, entra in città e ti sarà detto ciò che devi fare».
L’esperienza di Damasco lo trasforma per sempre: Saulo, il persecutore, diventa Paolo, uno dei più ardenti e intrepidi missionari di Cristo, nonché uno dei più lucidi e fondamentali interpreti del suo messaggio.
Ma Paolo non dimenticò mai cosa era stato prima che la grazia di Cristo facesse irruzione nella sua vita. Come confesserà ai Galati: «Voi avete certamente sentito parlare della mia condotta di un tempo nel giudaismo, come io perseguitassi fieramente la Chiesa di Dio e la devastassi» (Gal 1, 13). Ai Filippesi si presentava come zelantissimo «persecutore della Chiesa» (Fil 3, 6). Stessa musica con Timoteo, al quale Paolo dice: «ero stato un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia, perché agivo senza saperlo, lontano dalla fede». (1 Tim, 13)
Il mistero della spina nella carne
C’è poi il mistero della «spina nella carne» (o meglio un aculeo) di cui si parla nella Seconda lettera ai Corinzi («un inviato di satana incaricato di schiaffeggiarmi»), che Paolo dice essergli stata data per non montare in superbia. Diverse interpretazioni sono state date di questa «spina». Una malattia fisica? Psicologica? Spirituale?
Difficile, se non impossibile, dire quale sia stato il “segreto” di Paolo per la santità. Ma di certo si può dire che, da ogni lato, in lui traspare il discepolo totalmente soggiogato dal Signore Gesù («afferrato da Lui», scrive Paolo). Cristo per Paolo è la linfa vitale, la vita della propria vita.
E così che Saulo, il persecutore per odio di Cristo, diventa infine Paolo: il perseguitato per amore di Cristo. A Listra viene preso a sassate dagli ex correligionari e lasciato come morto per strada. Poi iniziano le prigionie: Filippi, Gerusalemme. Finché non finisce i suoi giorni a Roma, decapitato a Tre Fontane. È circa il 67 dopo Cristo. Nello stesso tempo anche san Pietro, il “discepolo imperfetto” diventato capo della chiesa, viene crocifisso.