C’è un momento preciso in cui uno degli scrittori più grandi di sempre, è diventato cristiano. Un’illuminazione fulminea che invade la sua mente e il suo cuore fin nel profondo.
Grazie a quella consapevolezza, arrivata nel periodo più terribile che gli fosse mai capitato, la sua vita cambiò in un istante, come un’esplosione di luce in un cielo grigio e annebbiato.
Lo ha spiegato la rivista dei gesuiti “La Civiltà Cattolica” nell’ultimo numero della collana culturale “Accenti”, dedicata in questa occasione al grande scrittore russo Fedor Dostoevskij. Il grande romanziere è tornato al centro delle cronache nelle ultime settimane, incredibilmente, per la triste vicenda avvenuta all’Università Bicocca di Milano, che ha cancellato un corso sulla sua narrativa tenuto dal prof. Paolo Nori per manifestare solidarietà al popolo ucraino martoriato dalla guerra. Come se lo scrittore deceduto nel 1881 avesse una qualche colpa in merito.
Ma al di là delle recenti cronache che sanno di surreale, se tutti conoscono l’importanza che il divino e la spiritualità assumono nei suoi romanzi, pochi sanno che la sua vita incrociò a un certo punto in prima persona la fede cristiana. La sua conversione avvenne infatti in un momento molto duro della sua vita, che fece seguito alla terribile detenzione in Siberia, e in seguito a un grave lutto che lo coinvolse direttamente.
Fin da piccolo, infatti, Dostoevskij venne cresciuto in maniera cristiana dalla sua famiglia. Purtroppo, però, negli anni della sua gioventù si allontanò gradualmente dalla fede, anche se in un certo senso fu proprio questo allontanamento a farlo tornare all’intimità con Cristo in maniera ancora più profonda.
In particolare, accadde nel periodo più doloroso della sua vita, la reclusione nei campi di prigionia zaristi, dove passò quattro anni facendo mostruosi lavori forzati. Visse sofferenze e umiliazioni, spiega la rivista dei gesuiti, e l’unico momento lieto nella giornata era quello in cui poteva dedicarsi alla lettura della Bibbia.
Prima di quei giorni, la sua fede sembrava essere lontana, eppure lì una scintilla nel suo cuore cominciò ad appiccare un piccolo fuoco. Una volta lasciata la prigione e tornato in Siberia, vive ancora sentimenti contrastanti, tuttavia il Vangelo aveva colpito nel fondo del suo cuore e non doveva fare altro che attendere.
Ci fu una lettera che segna un passaggio cruciale di quel cambio di atteggiamento che permetterà a uno dei maggiori scrittori di tutti i tempi di avvicinarsi al Signore. “Dio mi manda talvolta dei minuti, nei quali io sono del tutto sereno; in questi minuti io amo e trovo di essere amato dagli altri e in questi minuti io ho cercato in me stesso il simbolo della fede, nel quale tutto mi è caro e sacro”, scrive.
Un simbolo che aveva già trovato, e che corrispondeva con il “credere che non c’è nulla di più bello, di più profondo, di più simpatico, di più ragionevole, di più virile e perfetto di Cristo”. Tanto da farlo giungere a una considerazione netta: “se mi si dimostrasse che Cristo è fuori della verità ed effettivamente risultasse che la verità è fuori di Cristo, io preferirei restare con Cristo anziché con la verità“.
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In sostanza, la conversione di Dostoevskij avvenne nel momento in cui l’intellettuale russo cominciò a pensare Gesù non più come incarnazione dell’uomo, ma come incarnazione di Dio. Lì giunse a comprendere che in Gesù Cristo davvero la morte non ha l’ultima parola, e allora solo in quel modo l’angoscia può realmente essere trasformata in gioia.
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