Monsignor Giovanni D’Ercole ha terminato il suo periodo di ritiro in un monastero in Algeria. E ne dà testimonianza.
Da cui emerge un messaggio profondo: che non è possibile la pace senza l’adorazione. Monsignor D’Ercole infatti dopo avere lasciato la guida della diocesi di Ascoli Piceno, aveva deciso di trascorrere un periodo di ritiro in Algeria, nel monastero trappista Nôtre Dame de l’Atlas. Inizialmente, il vescovo non aveva in mente quanto tempo si sarebbe soffermato in questo luogo. Ora don Giovanni ha annunciato che il suo periodo di ritiro è terminato.
L’esperienza del vescovo in un contesto di pace e fede
In questi mesi nonostante ciò ha tenuto informato amici e fedeli quasi costantemente attraverso i suo mezzi social e con tutto ciò che aveva a disposizione. Chi aveva modo di mettersi in contatto con lui e di ricevere i suoi messaggi, infatti, è rimasto sempre aggiornato e ha avuto così la possibilità di assaporare uno spicchio della sua permanenza nel nord dell’Africa, o meglio del suo ritiro spirituale in un luogo molto significativo per la cristianità contemporanea.
Al termine di questa esperienza, monsignor D’Ercole ha deciso di affidare al quotidiano Avvenire il racconto di quanto accaduto in questi tre mesi. Sensazioni, impressioni, tutto ciò che si è mosso nel cuore del religioso ha trovato in questo modo stesura tra le colonne del quotidiano della Conferenza episcopale italiana.
Il racconto del ritiro spirituale di monsignor D’Ercole
D’Ercole ha così raccontato di quando “nel buio della notte, il richiamo tintinnante di una campanella ricorda a tutti che sono le 3.45 e fra quindici minuti, alle quattro in punto, ci si ritrova in chiesa per l’Ufficio delle Letture secondo la tradizione monastica. Ovvero di come cominciavano le giornate nel monastero, ma soprattutto di qual è l’ambiente che lo circonda, quello cioè del Marocco, paese di fede musulmana ma con un cristianesimo silente – spiega monsignor D’Ercole – che sta vivendo una fase di crescita.
“Sette gli appuntamenti di preghiera comunitaria durante il giorno, che ritmano e scandiscono la vita del monastero”, ha spiegato il vescovo emerito della diocesi di Ascoli Piceno.
La vita orante e contemplativa dei monaci di Atlas
“Si susseguono con un orario sempre uguale fino alle 20 quando, al termine della Compieta, il canto calmo e meditativo della Salve Regina in latino e subito dopo i rintocchi della campana per la recita dell’Angelus congedano i monaci che si ritirano nelle loro celle povere ed essenziali, senza nemmeno i riscaldamenti nonostante la rigidità dell’inverno. Niente radio, niente televisione, niente chiacchierate dopo cena: di giorno, ancor più di notte regna il silenzio, spazio vitale per la contemplazione e l’ascolto di Dio”.
“Il monaco per definizione è «cercatore di Dio» e lo fa soprattutto conservando il cuore nel silenzio”, ha spiegato ancora il prelato. “Molto spesso in contemporanea al suono della campana del monastero si sente l’invito dei muezzin delle vicine moschee che esortano i credenti dell’islam alle rituali cinque preghiere quotidiane. Per un’interessante coincidenza i cristiani e i fedeli musulmani si ritrovano così a incontrare Dio quasi alle stesse ore”.
Il senso profondo e vivo della coabitazione interreligiosa
La coabitazione interreligiosa è stata infatti una delle caratteristiche che più ha segnato il ritiro spirituale del vescovo. “I marocchini, «cristiani di cuore», vivono la fede in Gesù Cristo di nascosto, e per questo è difficile quantificarne la consistenza numerica”, ha scritto D’Ercole.
Tuttavia, in alcune cittadine i cristiani “si contano nelle dita delle mani”, in particolare i religiosi. Segno tuttavia della “povertà e al tempo stesso della ricchezza di essere un piccolo seme in una terra di fede islamica, chiamato a testimoniare il Vangelo con il «linguaggio dell’amicizia»”.
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La missione iscritta nella natura della comunità monastica
Una missione inscritta fin nella natura della comunità monastica trasferita in quel luogo dall’Algeria nel 2000, in seguito al doloroso eccidio di Tibhirine nel 1996, in cui persero la vita sette monaci, in tutto 19 martiri compreso il vescovo di Orano, Pierre Claverie.
I membri della comunità, ha spiegato il vescovo, si definiscono “comunità orante fra un popolo che prega» e, con uno stile di vita semplice e povero, intendono radicarsi come possibile a monaci di vita contemplativa nell’ambiente sociale che li circonda. Il loro desiderio di incrementare lo spirito di fraterna amicizia con l’islam emerge dai frequenti richiami nella preghiera comunitaria e da alcune iniziative che furono avviate da diversi decenni già a Tibhirine”.
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La ricchezza del silenzio come spazio dell’ascolto di Dio
“Dopo le dimissioni da vescovo di Ascoli Piceno il 29 ottobre scorso, anche io ho scelto questo monastero per un lungo periodo di ricarica spirituale a contatto con monaci, che mi hanno accolto a braccia aperte e subito integrato nella comunità”, ha concluso monsignor D’Ercole. Che ha ricordato: “Non è possibile la pace senza l’adorazione”.
“Dopo circa tre mesi di vita monastica ho compreso sempre più la ricchezza del silenzio come spazio dell’ascolto di Dio e l’urgenza di riproporre la preghiera contemplativa e il dialogo dell’amicizia come antidoto alla dispersione e alla crisi d’identità che mina la serenità e la speranza di tanti cristiani”.
Giovanni Bernardi