Il Sudario di Oviedo vera Reliquia o falso storico?

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IL SUDARIO DI OVIEDO

“Giunse intanto anche Simon Pietro che lo seguiva ed entrò nel sepolcro e vide le bende per terra, e il sudario, che gli era stato posto sul capo, non per terra con le bende, era piegato in un luogo a parte”(Gv, 20,6-7).

Nella Cattedrale di Oviedo, nella Spa­gna settentrionale, è custodito uno scrigno d’argento contenente un sudario che si ritiene essere quello che Pietro trovò piegato in un luogo a parte nel sepolcro di Gesù, “il suda­rio che gli era stato posto sul capo”. Questo reperto poco noto – chiama­to “Sudario di Oviedo”, “Volto Santo” o “Sudario” – potrebbe essere la chiave di lettura per svelare il mistero della ben più nota Sindone di Torino, offrendo da un lato una prova a sostegno dell’autenticità della Sindone e dall’altro nuove e det­tagliate informazioni sulla passione, la morte e la sepoltura di Gesù.

La storia del Sudario di Oviedo è ancora in corso di svolgimento, dopo aver recentemente ricevuto nuovo vigore dalle ricerche storiche e scien­tifiche effettuate dal Centro Spagno­lo di Sindonologia che avviò nel 1989 un approfondito studio inter­disciplinare del Sudario e ha ora cominciato a pubblicare i risultati.

Come il Sudario è arrivato a Oviedo

Si pensa che, dopo aver trovato il sudario nella tomba, S. Pietro lo prese in custodia, forse utilizzandolo come mezzo di guarigione durante le preghiere. Successivamente fu nasco­sto in una grotta per proteggerlo e, più tardi ancora, riposto in uno scri­gno d’argento con altri reperti e venerato dai primi cristiani. Questo “scrigno sacro” restò a Gerusalem­me, o perlomeno in Palestina, per quasi seicento anni. Quando Gerusa­lemme fu invasa dai persiani nel 614 d.C., i cristiani si diedero alla fuga portando lo scrigno ad Alessandria, quindi nel Nord Africa e infine in Spagna, giungendo a Cartagena. Da lì fu portato a Siviglia e consegnato a S. Isidoro, quindi, poco dopo la sua morte, trasferito a Toledo.

Nel 711 i mori invasero la Spagna, devastando in breve tempo tutto il ter­ritorio.

I cristiani in fuga portarono per sicurezza ciò che essi chiamavano l’Arca Santa (lo scrigno sacro) verso nord, sulle montagne asturiane, nascondendolo in un eremitaggio sul Monsacro, una montagna a 10 chilo­metri da Oviedo. Nel 840 il re Alfonso li lo fece trasportare da Monsacro alla Camara Santa (la Camera Sacra), una cappella appositamente costruita per salvaguardare lo scrigno e i reperti in esso contenuti. Nel corso degli anni i vari re asturiani che si succedettero donarono alla cappella numerosi altri reperti e oggetti preziosi, tra cui la Croce della Vittoria che Don Pelayo fece elevare dopo la vittoria di Cova­donga, il luogo della sconfitta dei Mori e punto di partenza per la ricon­quista cristiana della Spagna.

Una data chiave nella storia del Sudario è il 13 marzo 1075. Nello stesso giorno l’Arca Santa fu ufficialmente aperta alla presenza di re Alfonso VI, sua sorella, alcuni vescovi e di El Cid, il leggendario eroe milita­re spagnolo. Fu fatto un inventario del contenuto dello scrigno, del quale resta una copia risalente al XIII seco­lo conservata negli archivi della Cat­tedrale di Oviedo. Successivamente Alfonso VI fece rivestire d’argento lo scrigno di legno, facendo inoltre inci­dere in latino sul margine attorno al coperchio l’elenco delle principali reliquie custodite all’interno. In quel­l’elenco si legge chiaramente: “Del Sepolcro del Signore e del Suo Suda­rio e del Suo Santissimo Sangue”.

In seguito a questa dichiarazione ufficiale delle reliquie custodite nel Sacro Scrigno, Oviedo divenne un’importante meta per i pellegrini sulla strada per Santiago de Compo­stela. Nel XIV secolo, quando fu eretta la grande cattedrale gotica di San Salvador di Oviedo, la Camara Santa fu inglobata al suo interno e lì rimase anche lo scrigno, chiuso, con i pellegrini che dovevano acconten­tarsi di toccarlo o di baciarlo.

A metà del XVIII secolo, quando Filippo II commissionò un inventa­rio delle reliquie di Oviedo, lo scrigno venne aperto ufficialmente e i suoi preziosi contenuti visionati. Qualche tempo dopo, ebbe inizio la tradizione di esporre pubblicamente il Sudario nella cattedrale tre volte all’anno.

Nel 1965 il sacerdote italiano e stu­dioso della sindone, padre Giulio Ricci, intraprese uno studio scienti­fico del Sudario per cercare di stabi­lirne il legame con la Sindone di Torino. Ne derivarono altre ricerche finché, alla fine degli anni Ottanta, si giunse alla fondazione del Centro Spagnolo di Sindonologia (CES), dove studi approfonditi effettuati sul Sudario stanno dando risultati affascinanti.

Cosa rivela il Sudario di Oviedo

Utilizzando gli strumenti della moderna medicina legale, gli scien­ziati del CES sono riusciti ad estra­polare rivelazioni sorprendenti da questo piccolo pezzo di stoffa: l’età, il percorso seguito per giungere in Spagna, la causa della morte della persona di cui aveva coperto il volto, il fatto che è stata avvolta e successi­vamente riavvolta per due volte attorno al capo del cadavere.

Il panno è di lino con trama a taf­fettà, della dimensione di circa cm 53 x 86, un tempo bianco ma ora macchiato, sporco e sgualcito. I soli segni visibili ad occhio nudo sono delle macchie marroncino chiaro di varia intensità. Al micro­scopio, ovviamente, si può vedere molto di più: macchie più confuse, granelli di polline, tracce di aloe e mirra, ecc.

Gli scienziati del CES hanno accer­tato che il panno era stato posto sul viso di un defunto di sesso maschi­le, ripiegato, ma non nel mezzo, e appuntato dietro alla testa. Il panno non era stato avvolto intera­mente attorno alla testa perché la guancia destra era quasi appoggia­ta sulla spalla destra, il che lascia supporre che il corpo fosse ancora sulla croce.

Vi è poi una quadruplice serie di macchie (ovvero macchie speculari su entrambi i lati del panno ripiega­to) composte da una parte di sangue e da sei parti di liquido edematico polmonare, una sostanza che si accumula nei polmoni quando una persona crocefissa muore di asfissia e che, se il corpo viene mosso o scos­so, può fuoriuscire dalle narici. Alcune macchie risultano essere sovrapposte ad altre, i cui margini restano chiaramente individuabili, a significare che la prima macchia era già asciutta quando si è formata quella successiva.

Alcune di queste macchie sono a forma di dita, chiaramente disposte nella parte attorno alla bocca e al naso. Sono state individuate sei posizioni diverse di varie dita di mano sinistra, probabilmente deter­minati da qualcuno che stava cer­cando di arrestare il flusso di sangue dal naso dopo che il panno era stato avvolto sulla testa della vittima.

La disposizione e la successione delle macchie suggeriscono una probabile cronologia dei fatti. Il cadavere deve essere rimasto sulla croce per circa un’ora dopo la morte, con il braccio destro piegato in alto e la testa incli­nata in avanti riversa sulla destra. Il corpo, con il capo ancora piegato verso destra, è poi stato spostato e adagiato in posizione orizzontale sul fianco destro per circa 45 minuti. Quindi è stato spostato di nuovo, mentre qualcuno (l’apostolo Giovan­ni?) cercava di arginare con la mano il flusso di liquido che fuoriusciva dal naso. Infine è stato disteso supino.

Oltre alle macchie di liquido ede­matico ve ne sono di altri tipi, tra cui puntini di sangue causati da piccoli corpi appuntiti, che si ritengono essere stati spine.

II Sudario e la Sindone di Torino

La storia del Sudario di Oviedo è ben documentata e molto più chiara di quella della Sindone di Torino. Molte delle informazioni al riguardo derivano dalle opere storiche di Pela­gio, vescovo a Oviedo nel XII secolo, che ha ricostruito l’itinerario del Sudario dalla Palestina attraverso il Nord Africa fino in Spagna, un itine­rario che è stato corroborato dagli attuali studi sui pollini. Esistono inol­tre numerosi altri documenti ed atte­stano che la reliquia è sempre rimasta in Spagna a partire dal XVII secolo.

Se i dati scientifici sui due paramen­ti funebri, il Sudario e la Sindone, riu­scissero dimostrare che entrambi sono stati in contatto con lo stesso uomo, ciò rafforzerebbe l’autenticità della seconda, che ha un’origine controversa e molto meno ben documentata (e che la datazione al carbonio radioattivo ha fatto risalire al XIV secolo).

La prima e più evidente coincidenza è che il sangue del Sudario e della Sin­done appartengono allo stesso grup­po, l’AB, un gruppo molto comune in Medio Oriente, ma raro in Europa. Ancora più affascinante è il fatto che le macchie di sangue sul Sudario mostrano una notevole corrispon­denza con quelle della Sindone. Ci sono oltre settanta macchie di sangue corrispondenti nella zona del volto e oltre cinquanta sulla nuca e sul collo.

Le macchie del Sudario sono più este­se, soprattutto nella parte corrispon­dente alla bocca e al naso, il che indi­ca che il Sudario è stato posto sul corpo la prima volta quando il sangue era ancora più fluido. Ciò è conforme alla pratica ebraica di coprire il volto del deceduto con una piccola pezza, in segno di rispetto, durante i prepa­rativi per la sepoltura, nel caso il viso fosse sfigurato o ferito. Il panno veni­va poi tolto prima di avvolgere il corpo, ma veniva comunque messo nella tomba perché intriso di sangue (nella tradizione ebraica si riteneva che la vita fosse contenuta nel sangue e quindi qualsiasi cosa che ne conte­nesse veniva sepolta con il corpo).

Sul Sudario le macchie nella zona del viso sono disposte senza interru­zione da una parte all’altra dell’attac­catura laterale dei capelli, diversamen­te dalle macchie del volto impresso sulla Sindone, che presenta zone prive di macchie su ciascun lato del viso in corrispondenza del bendaggio sotto­mento che incorniciava la faccia. Sap­piamo pertanto che, in conformità con le usanze ebraiche, il Sudario è stato prima appoggiato sul capo e poi tolto prima di legare il bendaggio sot­tomento al suo posto. Infine, poiché sul Sudario non ci sono impresse

immagini del corpo, sappiamo che non è stato rimesso sul viso, ma è invece stato depositato nella tomba separatamente.

Il naso visibile sia sulla Sindone che sul Sudario ha, secondo le misu­razioni effettuate, una lunghezza di otto centimetri. Su entrambi i panni il naso è gonfio e un po’ spostato verso destra e le cavità nasali conten­gono un’elevata quantità di sporci­zia e polvere. Questo è plausibile nel caso in cui la vittima, già indebolita, avesse avuto le braccia legate ai pesanti bracci orizzontali della croce e quindi, cadendo sotto questo peso, non avrebbe potuto proteggersi il viso nella caduta.

Queste sono solo alcune delle corrispondenze accertate finora, alcune delle quali sono di natura molto tecnica e quindi difficili da comprendere per le persone comu­ni. C’è da aspettarsi che, mano a mano che i. risultati delle ricerche ancora in corso verranno resi pub­blici, ci saranno altre sorprendenti rivelazioni.

Esposizione pubblica del Sudario

Solo tre giorni all’anno il Suda­rio viene tirato fuori dal suo scri­gno d’argento nella Camara Santa ed esposto per la benedizione pub­blica durante una messa celebrata sull’altare maggiore della cattedra­le. Ciò che vede il pubblico è il rove­scio del Sudario (non il lato che è stato in contatto con il volto di Gesù) cucito su una base di pezza bianca montata a sua volta su un telaio e racchiusa in una cornice d’argento. I tre giorni in cui viene esposto il Sudario sono sempre gli stessi ormai da secoli: il Venerdì Santo e il primo e l’ultimo giorno del Giubileo della Santa Croce, cioè il 14 settembre (la festa della Santa Croce) e il 21 settembre (festa di S. Matteo).

In altri periodi dell’anno il Sacro Scrigno e altre reliquie possono essere ammirati solo attraverso la griglia d’acciaio della Camara Santa. Nel corso del Giubileo del 2000, per il crescente interesse nei confronti del Sudario, nella cattedrale è stata allestita un’esposizione fotografica che metteva in luce i risultati delle ricerche effettuate dal CES. Da allo­ra nella cappella è esposta una riproduzione del Sudario a gran­dezza naturale.

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