20 marzo 1994: com’è morta Ilaria Alpi?
Dopo 25 anni, ancora si sa poco della morte della giornalista italiana.
Tra errori giudiziari e depistaggi, a 25 anni di distanza ci sono ancora ombre sulla sua morte e su quella del suo cameraman.
L’omicidio di Ilaria e Miran
Ilaria Alpi era inviata in Somalia, a Mogadiscio. Quel 20 marzo 1994 proprio vicino all’hotel dove risiedeva venne uccisa con un colpo di pistola alla testa insieme al suo cameraman, Miran Hrovatin. Non poteva essere definito semplicemente un agguato. Secondo gli avvocati, si è trattato di una vera e propria esecuzione, esecuzione però ancora avvolta nel mistero.
In questi anni, una sola persona è finita in carcere: un uomo, Omar Hashi, arrivato in Italia per testimoniare contro alcune presunte violenze fatte da soldati italiani in Somalia, e indicato come membro del commando armato che uccise la giornalista italiana dall’unico testimone, un certo Gelle.
L’innocente Hashi condannato e poi assolto
Hashi è condannato a 17 anni di carcere, ma ciò che colpisce è che il testimone Gelle, alle telecamere del programma Chi l’ha visto, confermò di essersi inventato tutto. Hashi fu liberato, e la situazione è tornata al punto di partenza. Nuove inchieste sono state aperte, ma nessuna ha portato ad alcun risultato.
L’ordine dei giornalisti nazionale è l’unico che non si è arreso: “Nessuna archiviazione del caso. Vogliamo sapere chi ha ucciso Ilaria” – dichiarano. Indagini senza alcun fine, depistaggi, testimonianza poco attendibili. A 25 anni, oggi, nessuno sa ancora perché la giornalista è stata uccisa e perché la sua inchiesta sul traffico di armi e rifiuti tossici dava tanto fastidio a qualcuno.
Rifiuti tossici ed abusi sessuali: le scoperte scomode di Ilaria
In un suo block notes di appunti, Ilaria aveva anche segnato le cifre di questo traffico. Cifre esorbitanti che avevano messo in luce anche come gli aiuti economici che gli italiani inviavano per le popolazioni somale, avessero preso altre strade.
Strade per arricchire i politici della Prima Repubblica. Si legge infatti, dalle carte, che le armi arrivate a Mogadiscio, venivano trasportate nella zona centrale del paese con mezzi umanitari. Mezzi per trasportare aiuti e generi di prima necessità, fornite dall’Italia, per le popolazioni più povere del luogo.
Ma ancora un’altra possibile pista è stata aperta: quella che Ilaria era venuta a conoscenza di violenze sessuali subite dai civili. Peggio ancora (secondo alcuni documenti del 1998) che alcuni militari italiani avrebbero addirittura torturato queste persone, tanto che, sempre in quell’anno, ci furono manifestazioni di protesta a Mogadiscio contro chi abusava e molestava i bambini.
Una cosa è certa: dopo 25 anni, l’assassino di Ilaria e Miran ancora non ha un volto né un nome.
ROSALIA GIGLIANO
Fonte: avvenire.it