L’app Immuni arriva al termine di un periodo duro e complicato, che ha messo l’Italia di fronte a scelte difficili. Ma si è rivelata un vero disastro.
L’ultima scoperta riguarda un bug nell’applicazione, che mostra una debolezza del sistema, legato alla tecnologia Bluetooth, che mostra un rischio molto pericoloso. Ovvero che i due colossi a cui è stata affidata dal Governo italiano la produzione di questa app, ovvero Google e Apple, dal punto di vista teorico potrebbero “tracciare continuamente” gli utenti tramite i loro smartphone.
Il sistema ora potrebbe infatti essere tristemente sfruttato senza problemi dai due colossi americani per operare un tracciamento diffuso di dati. Che potrebbero essere a sua volta utilizzati, oltre che dalle aziende che ormai ne sono entrate in possesso.
Anche da soggetti molto più pericolosi, come delle autorità statuali oppure delle grandi organizzazioni internazionali. Che inoltre, vista la complessità tecnologica necessaria per mettere in atto questo genere di operazioni, sono anche gli unici soggetti che se lo potrebbero permettere.
Il framework Google/Apple è infatti il proprietario dei dati e di fatto i soggetti non permettono di effettuare verifiche dirette sulla loro sicurezza. In Italia si è discusso spesso, e lo si fa da tempo, riguardo a questo genere di aspetti molto delicati. Di fatto, però, la conclusione di tutte queste profonde discussioni ha visto il governo italiano guidato dal premier Conte prendere decisioni del tutto arbitrarie, senza peraltro sbandierarle.
A giugno, infatti, si è parlato molto di questi aspetti di possibile vulnerabilità di sistema legati all’utilizzo dell’app Immuni. Il problema però, legato a una debolezza di sistema apertamente individuata dagli esperti, non solo non è stato corretto, ma non è stata nemmeno fornita alcuna documentazione.
Altre complicazioni, di natura tecnica, giuridica o strategica, palesemente sollevate a livello internazionale, in Italia non hanno avuto alcun tipo di riscontro. Né a livello politico, né tanto meno a livello mediatico. Tutti si sono soffermati solamente sulle presunte grandi potenzialità dell’app di tracciamento.
Salvo scoprire poi le difficoltà di persone obbligate a stare in casa dalla stessa app, altre che invece non hanno ricevuto alcuna segnalazione nonostante la persone maggiormente frequentata fosse positiva.
Il problema di una scarsa funzionalità dell’app, quindi, si aggiunge a un altro importante problema di una evidentemente scarsa trasparenza informativa fornita agli utenti che hanno scaricato l’app.
Sappiamo quanto oggi valgano i dati personali, quanto siano preziosi, ed è del tutto assurdo che ci sia stata così poca leggerezza in un contesto così delicato, importante e complessivo come quello della pandemia e del monitoraggio del contagio.
Quello che invece spesso vediamo fare è esattamente il contrario. Ad ogni domanda, ogni personalità pubblica corre a minimizzare la questione, a ribadire che va tutto bene e che dobbiamo stare sicuri, che tutto è anonimo e controllato. Si tende insomma a imbonire l’opinione pubblica piuttosto che a rispondere e informare.
Eppure, ad oggi, in Italia, esistono normative chiare sulla protezione dei dati personali da parte del titolare del trattamento, che in questo caso è nientemeno che il Ministero della salute. I più dubbiosi, noteranno una certa sudditanza tecnologica degli Stati nazionali ai colossi del web. Gli altri, una dubbia e oscura comunanza di interessi.
“In poche parole, stiamo cadendo in una vera e propria trappola tecnologica ben orchestrata alle nostre spalle, laddove come sappiamo le dittature trovano terreno fertile proprio nella paura“, scrive sul quotidiano online Huffington Post Andrea Lisi, avvocato e segretario generale ANORC, Associazione Nazionale Operatori e Responsabili della Custodia di contenuti digitali.
“Ormai stiamo rischiando di entrare senza rendercene conto, e in preda al panico da virus, in una vera e propria dittatura tecnologica“, è la sua tesi. Che spiega non essere “una congettura complottista dell’ultima ora”, ma la logica conseguenza di “una Risoluzione del Parlamento europeo del 17 aprile 2020, laddove si chiede alla Commissione di garantire la piena apertura dal punto di vista informatico delle soluzioni di tracing”.
Ovviamente, rimasta lettera morta su carta, testimonianza di buone intenzioni mai diventate prassi. “Esse, come sappiamo, si rivelano essere sempre di più delle fragili cornici che si poggiano su un’infrastruttura tecnologica (quella condivisa da Google e Apple) totalmente chiusa a chiave”, continua Lisi.
“In parole povere, sono due grandi player privati di rilievo internazionale e dal potere economico immenso, in piena pandemia mondiale, a dettare le regole della nostra “privacy”, all’interno di interfacce che non conosciamo in trasparenza, anzi sulle quali non abbiamo alcun diretto controllo”.
La domanda che l’avvocato pone, però, è ancora più tragica. “Questa resa tecnologica almeno è suffragata da una ragionevole certezza sull’utilità delle app di tracing nella lotta al virus Covid-19? Non possiamo a questo punto non chiederci se sia davvero indispensabile usare queste app “gentilmente” offerte da Google e Apple per combattere la pandemia e tracciare così in modo affidabile e veloce i focolai del virus”.
La risposta, suffragata anche dalle parole dell’avvocato, è ovviamente che non c’è alcun bisogno, dal punto di vista medico e sanitaria, di scaricare l’app Immuni.
L’analisi “ci dimostra ogni giorno di più come non sia per nulla indispensabile usare le app per tracciare in modo affidabile l’andamento del virus, anzi, per combattere con efficacia il virus ai tempi del digitale, potremmo usare strumenti di data science già a nostra disposizione”.
Evidentemente, al governo italiano ciò non bastava. Però, ora, a questo punto, è necessario che le istituzioni forniscano risposte su tutto ciò. In gioco c’è, oltre che la democrazia, la libertà di ognuno, contro il controllo tecnologico ad opera di pochi soggetti dal potere smisurato.
Giovanni Bernardi
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