La denuncia di una signora barese di 63 anni: “sono prigioniera dell’app Immuni”.
La vicenda è surreale, e la donna è su tutte le furie. Dopo avere scaricato l’app Immuni, è stata costretta dal software alla quarantena, perché avrebbe, secondo l’app, avuto un contatto con un soggetto positivo al coronavirus. Solo che ora la donna non riesce ad avere risposte, e non c’è nessuno che sa come aiutarla.
“Mi hanno messa ai domiciliari senza una ragione” è la denuncia delle donna, pesantemente arrabbiata, che ai giornalisti che la interpellano dice: “non incazzata nera!”. La donna è stata obbligata dalla Asl a stare chiusa dentro il suo appartamento, in pieno centro, per 15 giorni. Niente passeggiate per Bari, spiaggia o altro, quindi.
La sua storia diventa così simbolo del malfunzionamento dell’app, che rischia di diventare tragicomico quando non pesantemente problematico. La signora si sente rinchiusa, dopo che la sua unica colpa è stata quella di avere scaricato l’app, “per senso civico”.
L’applicazione di tracciamento dei contatti, infatti, rileva l’allarme quando rileva che l’utente ha incrociato, in un determinato momento che risulta sconosciuto, una persona affetta dal virus. Ma la tecnologia sembra perciò presentare falle anche pesanti, già messe in luce in diverse situazioni e dal primo momento.
La signora racconta così la sua vicenda surreale. “Sono stata un paio d’ore al mare osservando il distanziamento interpersonale”, spiega. “In serata io e mio marito siamo andati a cena con parenti, sempre osservando le norme di sicurezza, a partire dall’uso delle mascherine nei casi previsti”.
Quindi, a prima vista tutto tranquillo. “Domenica mattina sono stata un’oretta al mare, in un punto di litorale non affollato, in compagnia di mia cugina, prima di lasciare la villa e rientrare a casa in città per il pranzo”. Ma poi arriva l’imprevisto. L’applicazione comincia a suonare, e segnala l’allerta, con un un codice da comunicare al medico di base.
Questi, il giorno successivo, contatta la Asl. Nel pomeriggio di martedì arriva una semplice mail e una telefonata dal Dipartimento di prevenzione. Così, scattano i “domiciliari” per la signora. Che comincia a protestare vivacemente chiedendo di essere sottoposta a tampone o test sierologico. Ma questa possibilità le viene negata.
In tutto ciò, la signora è convinta di non essere contagiata. L’app infatti segnala i potenziali contatti rischiosi, ma lei spiega che quando è andata al mare è stata molto attenta di non avvicinarsi a nessuno, premurandosi con attenzione di utilizzare i dispositivi di protezione.
Insomma, con la distanza rigorosamente rispettata, e la mascherina sempre in viso, la signora dubita fortemente di essere stata contagiata. Eppure evidentemente non distante da lei è passata una persona contagiata, e ora è costretta a stare in casa senza nemmeno poter avere una prova della sua positività.
“Non solo, tagliamo la testa al toro: mia cugina e gli altri miei parenti non hanno scaricato l’applicazione e quindi non possono essere “sospettati”. E, per giunta, il bollettino della Regione venerdì e sabato segnalava zero casi in provincia di Bari”, spiega la donna, vittima di una situazione a dir poco kafkiana.
Non bastasse, il marito e la figlia della signora, prima di eseguire esami diagnostici, sono stati sottoposti al tampone, ed entrambi risultano essere negativi. E in tutto ciò sono obbligati a stare in casa insieme alla signora.
“Non riesco a tollerare questa limitazione della libertà. Pensavo di vivere in uno Stato democratico non in Corea del Nord”, dice la signora. “Sono agli arresti, ma senza aver avuto nemmeno diritto a un regolare processo“, è lo sfogo. La donna ha spiegato che dopo questa triste esperienza ha disinstallato l’app, e ci mancherebbe altro.
“Anche se sto benissimo, andrò a fare il tampone privatamente, visto che il servizio sanitario pubblico me lo nega. Eppure dalla Regione sento ripetere che la gestione dell’emergenza è stata ed è fantastica. Che i casi di contagio sono a zero, che la app Immuni non ne ha segnalato nessuno. E il mio caso allora?”.
Il problema è stato chiamato dei falsi positivi, e gli sviluppatori sono al lavoro in cerca di una soluzione. Mentre la signora, come altre vittime, restano preda dell’algoritmo impazzito. La nostra libertà in mano a un’app.
Giovanni Bernardi
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