“Che tu creda o meno, sei costretto ad ammettere che anche quando di te non sarà rimasta che polvere loro saranno ancora lì, integri”.
La fotografa Elizabeth Harpere, desiderosa di approfondire aspetti poco conosciuti del cattolicesimo attraverso le immagini, è venuta nella Caput Mundi e ha fatto delle scoperte sorprendenti.
Gli americani hanno sempre subito il fascino di Roma. Non solo della Roma dei Cesari, anche della Roma dei Papi e dei santi.
Attualmente Harper sta realizzando un libro fotografico per conto del Morbid Anatomy Museum di New York, che include un reportage sulle chiese romane, con un’attenzione particolare per le loro reliquie. Tra i corpi da lei immortalati: San Camillo de Lellis, San Pio V, Santa Francesca Romana, San Roberto Bellarmino.
Da ragazza, Harper era rimasta affascinata dalla storia della martire Santa Cecilia e, in generale, da tutte le vicende legate alle reliquie dei santi. “Non capita molto spesso di vederne una negli Stati Uniti”, ha osservato la fotografa, intervistata dalla rivista Vice.
Da lì è nata l’idea di fotografare i corpi incorrotti dei santi, cogliendone particolari che, normalmente sfuggono al visitatore medio. “Mi piace molto fotografarli perché hanno qualcosa di inquietante – spiega Harper –. Amo la loro immobilità, la loro monumentale simmetria, l’intimità e la vulnerabilità dei loro volti che sembrano quasi addormentati. Mi piacciono soprattutto quelli conservati sotto bare di vetro, che sembrano usciti da una favola”.
“È come se fossero testardi – prosegue la fotografa – come se non gli importasse nulla della società moderna, perché nonostante tutto loro sono ancora lì. Vederli mi dà una sensazione particolare, perché che tu creda o meno nella loro santità sei costretto ad ammettere che anche quando di te non sarà rimasta che polvere loro saranno ancora lì, integri”.
Harper, poi, rivela: “Non avevo mai capito l’ossessione americana per gli zombi, finché non mi sono ritrovata in un putridarium”, ovvero la speciale cripta dove i cadaveri venivano lasciati a decomporsi in apposite nicchie. “Il putridarium era collegato al concetto di purgatorio”, ricorda. “Quando non rimaneva che lo scheletro, il morto era considerato finalmente in pace e quindi in paradiso”.
“Essere uno zombie vuol dire essere intrappolato lì, ed è una cosa che ci fa paura. È il motivo per cui gli zombie ci fanno più paura degli scheletri, e il motivo per cui ad Halloween i bambini si vestono da scheletri ma non da zombie. Abbiamo tutti paura di ritrovarci, dopo la morte, bloccati in un luogo di passaggio. E troviamo sempre nuovi modi per esprimere questa paura”, conclude la fotografa americana.
Luca Marcolivio
Per approfondimenti e per visionare le foto di Elizabeth Harper, si consiglia di visitare il suo blog www.allthesaintsyoushouldknow.com/
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