Il giorno che coincide con l’ufficialità dello spostamento dell’ambasciata americana in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme, e che sancisce il riconoscimento da parte dell’amministrazione Trump di quest’ultima come capitale è coinciso con l’ennesimo giorno di protesta e violenza ai margini della striscia di Gaza. I manifestanti sono tornati ad assiepare la barriera che separa Israele dalla Palestina ed i cecchini israeliti hanno di nuovo aperto il fuoco contro di loro generando 55 morti e centinaia di feriti. Nel contempo, l’esercito israeliano ha portato a termine due raid aerei su quelle che la stampa israeliana riporta come le basi del gruppo estremista Hamas, in questo caso però non sono state pubblicate stime riguardanti le vittime.
Lo sdegno palestinese per l’ennesima strage
I civili uccisi ieri durante le proteste lungo la striscia di Gaza e quelle in Cisgiordania, hanno suscitato l’ennesima reazione di sdegno da parte del governo palestinese. Il rappresentante dell’Olp, Hanan Ashravi ha infatti invitato gli Stati Uniti a prendersi le proprie responsabilità per quanto accaduto in Palestina: “È tempo che l’amministrazione e i membri del Congresso degli Stati Uniti mettano fine alla loro pratica di ricatto, estorsione e minaccia contro il popolo palestinese e smettano di accusare una nazione resa schiava che già sta vivendo sotto occupazione militare e soffrendo di atti deliberati e sistematici di violenza, colonialismo e apartheid”.
A rispondere, anche se indirettamente, alle accuse lanciate da Ashrawi ci ha pensato l’inviato americano in Medio Oriente Jason Greenblatt, il quale ha fatto notare come in 30 anni di ambasciata a Tel Aviv, la situazione non è mai migliorata e la pace non è mai stata duratura. Nel contempo fonti americane hanno spiegato passeranno anni prima che l’ambasciata di Gerusalemme diventi pienamente funzionante.
Luca Scapatello