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Infanticidio: bambini innocenti uccisi negli ospedali, un fenomeno in aumento

L’infanticidio in ospedale

Infanticidio

La Francia è il paese dell’Europa occidentale in cui la censura di Stato è più forte e più applicata, e da decenni esistono delle leggi fatte apposta per imbavagliare il pensiero libero e non conformista (come le leggi Pleven, Gayssot, etc.). Delle ricerche recenti mostrerebbero che il numero di pagine Facebook e i conti Twitter chiusi in loco superino, e di molto, analoghe operazioni di polizia svolte in Turchia, in Russia o nella reazionaria Polonia. Perfino le banche, istituzioni che da sempre hanno tra i loro principi guida il pecunia non olet, hanno chiuso dei conti a gruppi identitari e distanti dal politicamente corretto.

Ma proprio questo scenario, ha favorito la nascita di una serie di strumenti di sana dissidenza e di controinformazione, particolarmente diffusi ed efficaci. Tra gli ultimi nati spicca TV-Libertés, fondata nel 2014 e diretta dal giornalista Martial Bild. Si tratta di una vera e propria televisione sul web che trasmette un Tg quotidiano, oltre a varie rubriche di approfondimento tematico.

Pochi giorni fa, l’emittente ha presentato uno scioccante reportage, realizzato dal Centro europeo per il diritto e la giustizia (CEDJ). Questa onlus lotta presso l’UE contro un dramma raramente evocato dai media: l’infanticidio ospedaliero, cioè praticato da personale medico su neonati che, per le loro condizioni più che precarie o perché destinati ad un aborto non riuscito, non sarebbero mai dovuti nascere.

Il documento video lascia senza parole per varie ragioni. La prima delle quali è questa: vari professionisti della salute, a volto scoperto, raccontano senza peli sulla lingua le esperienze che hanno vissuto, collaborando con medici e ostetriche che hanno praticato davanti ai loro occhi degli infanticidi belli e buoni.

Secondo i medici, le infermiere e le ostetriche intervistate, le ragioni invocate per questi infanticidi ospedalieri si riducono essenzialmente a due. O si tratta di aborti, piuttosto tardivi (sino all’ottavo e al nono mese), in cui il bambino da sopprimere nasce vivo e vegeto, contro la volontà della genitrice. Oppure si tratta di una sorta di eutanasia infantile per quei bambini, anencefalici per esempio, o con altre gravissime patologie, che a giudizio dei medici entro poche ore, o pochi giorni o al massimo entro poche settimane vedrebbero quasi certamente la morte. E che quindi vengono soppressi subito dopo la nascita, in modo soft, per evitare l’attesa di una morte tanto certa quanto precoce.

In pratica, vige una sorta di ricatto psicologico del tutto amorale. Il medico sussurra alla partoriente più o meno così: Visto che il bambino, con ogni probabilità, vivrà solo poche ore o al massimo pochi giorni, allora evitiamo il lutto futuro, sopprimendolo subito! O ancora in utero, sebbene l’embrione si trovi alla fine della gravidanza, oppure appena nato. E in questo caso il termine adeguato è infanticidio.

Ma cosa c’è di ragionevole nell’anticipare un dolore invece di ritardarlo? Nulla, evidentemente. La speranza e la fiducia portano a ritardare il dolore e la morte di un congiunto, e non ad anticiparla. D’altronde ci sono casi in cui la medicina sbaglia e il bambino giudicato inguaribile guarisce, o il feto definito come handicappato e da scartare nasce sano come un pesce. (Ma anche la vita del down resta degna di essere vissuta).

Moralmente poi sono casi del tutto diversi. Un conto è non riuscire ad impedire la morte del bambino. E nessuno è tenuto a fare miracoli. Una cosa ben diversa è procurarla, compiendo un crimine bello e buono, anche se non fosse sanzionato dalla legge.

Nel reportage un’infermiera anestesista sulla sessantina, racconta le sue esperienze di IMG, ovvero traducendo alla lettera, Interruzione medica di gravidanza. Questa pratica, nel diritto francese, è distinta dall’aborto (detto comunemente IVG: interruzione volontaria di gravidanza) poiché non deve essere attuata necessariamente nei primi 3 mesi dal concepimento. Ma in ragione delle patologie fetali, può essere praticata fino al momento del parto (sarebbe il cosiddetto aborto terapeutico). Anche qui appare evidente l’inganno linguistico dal sapore orwelliano: cosa c’è di terapeutico nella soppressione di una vita umana innocente? Risponda chi può!

Contrariamente a quanto credono molti, anche la legge 194 in Italia consente l’aborto oltre i 3 mesi normalmente prescritti. Nei casi appunto di irrimediabile malattia del feto. Come a dire: se il bambino si prevede che nascerà sano non si può tangere (dopo i 3 messi), se si prevede che nascerà malato si può. Cosa distingue allora questa disposizione da quelle tipiche dell’eugenetica che seleziona solo i migliori, come i più adatti a vivere? Praticamente nulla.

Ma su quale base dei medici possono, oltre a violare il sommo Giuramento di Ippocrate, prendere una decisione al posto dei genitori?

Il reportage, realizzato dal Centro europeo per il diritto e la giustizia, ha reperito un’altra testimonianza in Gran Bretagna. L’infermiera ha lavorato in un ospedale di Londra, e dichiara di aver assistito all’uccisione di neonati, il cui handicap non era assolutamente letale. Racconta che nel caso di handicap gravi come la spina bifida, il personale medico si prendeva la responsabilità di dire ai genitori che i loro figli non ce l’avevano fatta. “Ma questi handicap, aggiunge, non li avrebbero necessariamente condotti alla morte”: essa era procurata dai medici. “In seguito, prosegue, ho partecipato a delle missioni umanitarie in Africa, e vi ho incontrato delle famiglie con bambini handicappati. E mi sono resa conto che se quei bambini britannici fossero nati nell’Africa rurale con poche cure e pochi soldi, probabilmente non sarebbero morti!”.

Conclusivamente, un responsabile del CEDJ dichiara che la loro associazione ha ricevuto molte testimonianze di eutanasia di bambini nati vivi. E che da lì è sorto il desiderio di far conoscere un dramma inaudito del nostro tempo. Il Centro ha anche pubblicato un libro che spiega il legame tra il cosiddetto diritto all’aborto e la perdita del rispetto per la vita umana innocente (Cfr. Grégor Puppinck, Droit et prevention de l’avortement en Europe, 2016).

Fabrizio Cannone

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