Pazienti sedati e legati ai letti: una denuncia da brivido della disumanizzazione della sanità italiana in tempo di Covid.
Nella sanità italiana di oggi, svolgere il proprio mestiere con abnegazione, può costare caro. È capitato a Raffaele Varvara, trentenne infermiere milanese, di origini pugliesi.
Contano più la generosità o i protocolli?
Dall’inizio dell’anno a Varvara sono stati inflitti quattro provvedimenti disciplinari in tre mesi. Tre delle sanzioni le ha ricevute per essere sceso in piazza altrettante volte contro l’obbligo vaccinale per gli operatori sanitari. Il quarto ‘cartellino giallo’ gli è arrivato per una violazione dei protocolli terapeutici.
A Varvara non è stato perdonato un gesto di generosità non contemplato dalle norme vigenti. Ad un paziente in fin di vita per Covid, l’infermiere ha permesso di ricevere l’ultimo saluto della figlia.
Messo sotto pressione dall’Ordine degli Infermieri, dopo il quarto provvedimento disciplinare, Varvara ha preferito licenziarsi dall’ospedale in cui lavorava, anticipando così la sospensione destinata a chi non vuole vaccinarsi.
Anche non esercitando più il suo mestiere, Varvara continua ad essere e a sentirsi un infermiere. Il suo, dunque, non è un addio ma, auspicabilmente, sarà un arrivederci. La ribellione contro norme da lui ritenute assurde, lo ha spinto a intraprendere una nuova battaglia non per sé ma per la sua categoria, per la sanità e la società tutta.
“Negli ultimi tempi la professione non è più quella per cui ho studiato e che amavo”, ha raccontato Raffaele Varvara, intervistato lunedì scorso da Byoblu. Le sanzioni disciplinari hanno reso la sua vita “un inferno”. Il suo ordine professionale lo ha dichiarato “colpevole per aver tutelato il diritto di una figlia di mantenere la mano della propria madre”.
La morte aiuta a dar valore alla vita
Dietro a queste scelte controcorrente di Raffaele Varvara, c’è un’attitudine a non prendere la propria vita e il proprio lavoro con superficialità. Varvara denuncia una voragine, destinata ad allargarsi, tra i nuovi protocolli sanitari e la “deontologia professionale”, teoricamente ancora vigente ma destinata a rimanere lettera morta.
“La morte non è più vissuta come dovrebbe essere, come il nostro codice deontologico ci prescrive”, lamenta l’infermiere milanese, con riferimento alle tante persone che “muoiono da sole” nei reparti Covid e non solo, anche per via del Green Pass che preclude molti movimenti all’interno degli ospedali.
“Non riuscivo a piegarmi a questo protocollo disumanizzante – ha proseguito Varvara –. Ci vogliono allontanare dalla morte” ma la morte, osserva, è “il vero motore della vita”. Se si perde il contatto con la morte, dice l’infermiere, si rischia di “non vivere la vita a pieno” quanto si dovrebbe.
All’intervistatore che gli chiede un parere sulle opportunità offerte dalle nuove tecnologie biomediche, Varvara risponde: “La telemedicina ha molti vantaggi ma non potrà mai sostituire il tocco di una mano nel fine vita”. Stiamo andando, quindi, verso un “progetto di disumanizzazione”, cui si risponde soltanto “prendendo in mano la propria vita”.
Antidepressivi “come fossero caramelle”
Nel frattempo, Varvara, appoggiando il comitato “Di sana e robusta Costituzione”, sta portando avanti la sua battaglia contro l’obbligo vaccinale. Un obbligo che, come da lui notato, sta già determinando gravi scompensi nel sistema sanitario. Nella sola Toscana, ad esempio, sono stati sospesi ben 54 infermieri.
Il rapporto infermieri/cittadini è indicato dagli esperti in un minimo di uno a sei. “Se questo rapporto scende anche solo di uno – spiega Varvara – il rischio mortalità per i pazienti sale 7%. Oggi il rapporto è di uno a dodici, con un rischio elevato al 42% ma con queste sospensioni è destinato ad aumentare”.
Quella di lasciarsi licenziare o di dimettersi (come effettivamente ha fatto Raffaele Varvara) è una scelta indubbiamente molto radicale, che da un lato, se un gran numero di infermieri o medici compie questa scelta, espone i pazienti a un rischio immediato. Sull’altro piatto della bilancia, però, si pone il principio della libertà terapeutica, ancora tutelato dalla Costituzione italiana e da più di un trattato internazionale. In nome di benefici di breve periodo, dunque, si finirebbe per spianare la strada a quella “disumanizzazione” del sistema sanitario denunciata dallo stesso infermiere.
Verso la fine dell’intervista, del resto, Varvara ha denunciato alcune conseguenze di questa spersonalizzazione della sanità, che ormai cura i “sintomi” e non le persone. In assenza di visitatori, per far sopportare la solitudine ai pazienti, ad esempio, vengono loro somministrati “antidepressivi come fossero caramelle”. Altri vengono sottoposti a “fasce contenitive” e “legati ai letti”.
Tutte situazioni che, proprio in assenza di familiari o esterni che possano vigilare, rischiano di trasformare i reparti in “luoghi di segregazione”. “Il buon Basaglia si starà rivoltando nella tomba”, commenta senza mezzi termini Raffaele Varvara, secondo il quale “la contenzione dovrebbe essere l’extrema ratio, non un protocollo terapeutico”.
“La logica di massima precauzione è alla lunga contraria alla vita”, aggiunge l’infermiere. Di fronte a questa deriva, non che abbandonare l’egoismo e la paura, “disinnescare paure, condizionamenti e manipolazioni”, per tornare ad una “assistenza umana per persone umane”, conclude l’infermiere.
Luca Marcolivio
Fonte: Byoblu