Il 22 settembre scadrà l’accordo provvisorio tra il Vaticano e la Cina. Un accordo segreto, con al centro la nomina dei vescovi locali. Che desta dubbi e timori.
“Sì, penso proprio di sì”, è la risposta data dal Segretario di Stato della Santa Sede, il cardinale Pietro Parolin, a chi gli ha chiesto se ci sono effettive possibilità di rinnovo dell’accordo.
Il cardinale ha aggiunto che l’intenzione del Vaticano è comunque quella di proseguire in quella direzione. Il Papa vuole cioè proseguire nella stessa direzione per altri due anni, per sperimentare come andrà. “Penso che si continui a adottarlo ad experimentum come si è fatto in questi due anni, in modo tale da verificare l’utilità”, ha spiegato il porporato.
L’accordo verrà in realtà rinnovato ad ottobre, perché è previsto un mese in cui le due parti possono fare il punto sui due anni precedenti, scegliendo così come muoversi in futuro. Sarà la Santa Sede a formulare la proposta alla Repubblica Popolare Cinese, come previsto negli accordi. Dopodiché la controparte deciderà se accettare o meno.
Insomma per la Santa Sede, nonostante la prudenza faccia sottolineare che non esistono automatismi in questi accordi così delicati, la direzione è “segnata“, e “vale la pena di continuare e poi si vedrà”. Tuttavia i dubbi, anche nel mondo cattolico, restano molti.
L’accordo infatti riguarda principalmente il piano religioso, della Chiesa in Cina, e non entra nel merito di dinamiche di natura più strettamente diplomatica, ovvero che riguarda le relazioni tra Stati. Prima di questo punto di incontro, era dal 1951 che le relazioni tra Cina e Vaticano non fossero attive.
L’obiettivo vaticano è quello di normalizzare la vita della Chiesa in Cina. Vale a dire, di fare incontrare la Chiesa “ufficiale” e quella sotterranea, fatta di veri e propri martiri della fede che hanno continuato a pregare Cristo nel nascosto del Governo cinese. Che secondo i più critici in questo modo potrebbe anche semplicemente puntare a scovare i “sovversivi” della fede cattolica.
Ci si domanda quindi: sono veramente saltati i confini tra le due chiese, e la strada è veramente quella di una Chiesa unita in Cina, e soprattutto libera? Molti scettici non la pensano affatto così. Inviati nel Paese parlato di una situazione che giorno dopo giorno peggiora. E di una persecuzione dei cristiani che, nonostante l’accordo vaticano, fa ricordare i peggiori regimi dittatoriali della storia.
Uno studioso del nord della Cina, che sul giornale online AsiaNews si firma con lo pseudonimo di Li Ruohan, ha messo in parallelo l’attuale situazione dei cristiani in Cina nientemeno che con il regime nazista. E con il concordato che nel 1933 diede libertà alla Chiesa soltanto per pochi mesi.
Padre Francis Hu, sacerdote della Cina centrale, sempre su Asia News accusa i fautori dell’accordo sino-vaticano di non conoscere affatto la reale situazione dei cattolici in Cina. Si parla infatti sempre più insistentemente, nonostante il patto, di materiale cristiano la cui vendita è stata bloccata in rete. Di Bibbie bruciate, di chiese abbattute, di croci distrutte. Di parrocchie ancora illegali, come anche la partecipazioni per i giovani al catechismo.
In molte chiese le cronache raccontano di violenze delle polizia, e dell’impossibilità per i cristiani di entrarvi in preghiera. Non la pensa tuttavia così Papa Francesco. Secondo cui, dal suo osservatorio vaticano in cui hanno un ruolo fondamentale i suoi consiglieri e inviati nel Paese, “in Cina le chiese sono piene, si può praticare la religione”.
“Da quando è stato firmato l’Accordo sino-vaticano, la situazione della Chiesa in Cina si è deteriorata e lo spazio di sopravvivenza della Chiesa si è ristretto”, attacca padre Hu. Sacerdote che si definisce un prete del “basso clero”, che lavora in una delle zone più povere del Paese del Sol Levante. Secondo padre Hu l’accordo non è altro che “una mossa politica, senza alcuna rilevanza per i cattolici cinesi”.
Secondo il Corriere della Sera, la chiave di lettura sta nel fatto che “la Cina è sterminata e le cose sono andate in modo diverso a seconda delle province“. Province, molte delle quali che si muovono in autonomia dal governo centrale. Una situazione complessa e articolata che farebbe cioè pensare al Vaticano a un bilancio “a macchia di leopardo”.
In luoghi come la provincia nordorientale di Liaoning, 43 milioni di abitanti, da febbraio in poi le autorità locali hanno applicato con violenza i regolamenti del governo centrale. In cui è previsto che le organizzazioni religiose aderiscano “alla leadership del Partito comunista cinese, al principio di indipendenza e di autogoverno”.
C’è perciò bisogno di forte e intensa preghiera per la Chiesa cattolica in Cina. E per i fratelli cristiani che ogni giorno subiscono la violenza e le angheria di un governo autoritario che vorrebbe cancellare la religione dalla faccia della terra. Che il Signore doni pace e giustizia in questa terra, in cui i cattolici sono sempre più martoriati e perseguitati. E che i responsabili della Chiesa possa prendere decisioni corrette e coscienziose per il bene dei cristiani e dell’umanità intera.
Giovanni Bernardi
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