Nelle scuole insegniamo l’arabo così facciamo sentire gli immigrati a casa
Nel primo discorso dell’anno il Santo Padre ha sottolineato l’importanza di offrire ai migranti la nostra accoglienza, specificando come sia compito delle autorità dare spazio ad un numero appropriato di persone affinché questa accoglienza non diventi mero assistenzialismo e si creino i presupposti per fare integrare i nuovi arrivati nel tessuto societario. Un discorso che unisce lo spirito cristiano di misericordia e la praticità di un’organizzazione programmata che lo renda applicabile. Viene da chiedersi a questo proposito quali possano essere le iniziative di stato, comuni e provincie per permettere una maggiore integrazione e si pensa immediatamente ad un inserimento nei corsi di studi delle nostre scuole per i bambini e quello nell’ambito lavorativo dei loro genitori.
La proposta del nuovo consigliere comunale di Rivalta (Torino) Zemmale, però, supera qualsiasi previsione a riguardo, proponendo addirittura un corso di arabo nelle scuole dell’obbligo per fare sentire a casa gli immigrati di origine islamica: “I bambini dovrebbero imparare a parlare l’arabo per fare un percorso inverso e contribuire all’integrazione”, quindi ha suggerito “l’insegnamento della lingua araba a tutti”. La proposta è estrema ed infatti non è stata gradita dal consigliere di Forza Italia Michele Colaci che in risposta alla proposta della Zemmale ha sottolineato: “Per la sinistra, evidentemente non è importante se i bambini hanno poca dimestichezza con l’inglese, il cinese, il tedesco, utili per il loro futuro: è importante invece affrettarsi a imparare l’arabo, per far integrare i compagni di classe islamici. Penso che la scuola italiana dovrebbe insegnare la nostra cultura ai figli degli immigrati e non viceversa”.
Difficilmente la proposta verrà accettata dal consiglio comunale, d’altronde avrebbe poco senso stravolgere il paradigma e chiedere a tutti i bambini italiani (considerando ipoteticamente che la proposta giungesse a livello nazionale) di imparare una nuova lingua, invece di chiedere ai pochi bambini che arrivano di imparare quella della nazione che li ospita.
Fabio Scapatello
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