Quello che il Santo Padre si appresta a compiere in Iraq è certamente un viaggio di grande valore storico, che dona una speranza rispetto alla terribile condizione dei cristiani.
Nel Paese infatti da giorni si fa notare come i cristiani stiamo praticamente scomparendo, al seguito della furia devastatrice del sedicente Stato islamico che nel 2014 ha fatto scappare gran parte di loro. La tentazione di molti è stata, ed è ancora, quella di abbandonare il Paese per sempre.
Tanti di loro si sono trasferiti in Europa, in Francia, in Italia, attraverso i corridoi umanitari, i viaggi della speranza. Soltanto alcuni hanno avuto la forza di farvi ritorno, tra le tante difficoltà che si stanno vivendo in quell’area, compresa quella del Covid, e la paura personale di essere ormai un bersaglio.
Una piccola parte di quanti avevano lasciato il Paese nel 2014, nel 2017 vi ha fatto ritorno. La prima visita, però, è stata scioccante. I jihadisti avevano infatti distrutto quasi tutto ciò che era in loro possesso. Le abitazioni, le memorie, gli effetti personali. Tornati nei luoghi in cui sono nati e cresciuti hanno trovato solo devastazione.
Un po’ alla volta, però, si sono prodigati nel ricostruire tutto, e così sono ripartiti. Ma l’Iraq è in ginocchio ormai da molti anni, da quando è scoppiata la sanguinosa guerra contro l’Iran, a cui hanno fatto seguito le sanzioni internazionali, l’invasione del Kuwait, poi la prima guerra del Golfo.
Giovanni Paolo II voleva fortemente visitare il Paese, ma non ci riuscì, e quella fu una delle maggiori ferite per il Pontificato del Santo polacco. Che tuttavia alzò la sua voce contro la seconda spedizione militare occidentale nel Paese, che portò al rovesciamento del governo di Saddam Hussein.
In questi anni, centinaia di migliaia di cristiani sono stati costretti a scappare, a cercare rifugio altrove, dopo che le loro abitazioni furono devastate. Via dalla terra in cui cominciò la predicazione degli Apostoli, e che oggi attende il Papa come segno di grande speranza, per loro e per il mondo intero.
Francesco da tempo aveva annunciato la sua volontà di recarsi nel Paese, e anche se nelle ultime settimane imperversa la crisi sanitaria del Coronavirus, non si poteva dare una ulteriore delusione a quanti lo stanno attendendo impazienti, con il cuore in mano e la speranza negli occhi. Francesco porta loro infatti la speranza di una vita migliore, di un orizzonte di pace, di un futuro di libertà e serenità. Nonostante la crisi, dolorosa.
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La geopolitica del Papa, hanno scritto nei giorni scorsi i media vaticani, “l’unica geopolitica che lo muove”, è “quella di manifestare prossimità a chi soffre e di favorire, con la sua presenza, processi di riconciliazione, di ricostruzione e di pace“. La geopolitica della fratellanza umana, vale a dire la Parola del Signore che tutti riconcilia, che chiede di porgere l’altra guancia, di amare il proprio nemico, e che nel mentre indica con la Croce la strada della Redenzione.
Il grido di quei cristiani che tornano nel Paese per sostenere la Chiesa locale è la lotta degli Apostoli per un mondo di luce e di salvezza, la stessa che continua da duemila anni e che nei secoli è stata benedetta dal martirio dei tanti che, ancora oggi, continuano a bagnare queste terre con il loro sangue.
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Ci sono storie, come quella della chiesa dei santi Behnam e Sarah raccontata dal settimanale Tempi, che mostrano una rinascita che più di ogni altra cosa rappresenta i cristiani di Qaraqosh. Quella splendida chiesa fu costruita nel 2005 e consacrata nel 2008, ma i jihadisti l’hanno devastata senza remore. L’hanno bruciata, hanno picconato le immagini dei santi e hanno abbattendo con la dinamite il campanile che si ergeva sul lato sinistro.
Quella torre, devastata, è tuttavia ancora lì, di fianco alla chiesa su cui è eretta. La campana non suona ma c’è, scoperta, bene in vista. I due santi martiri a cui è dedicata, due fratelli vissuti nel lontano quarto secolo dopo Cristo, figli del re dell’Assiria convertiti al cristianesimo dopo che san Matteo l’eremita guarì Sarah dalla lebbra, sono la cifra del viaggio che Papa Francesco si appresta a compiere.
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Il re, che venne a conoscenza della conversione dei due figli, li fece uccidere. Si rifiutarono di abiurare la fede in Cristo, e oggi il loro nome campeggia nei resti della chiesa che, ancora una volta, ha subito la furia di chi odio la vita. Quella chiesa, il 15 agosto 2019, è stata riconsacrata e riaperta al culto. Di fronte al miracolo del bene, della pace, la morte non potrò mai vincere.
Francesco Gnagni
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