La decisione molto controversa provoca la reazione della Chiesa che ha chiesto subito un incontro col Ministero. Resta infatti incomprensibile il perché una decisione di natura sanitaria, debba discriminare un credo piuttosto che un altro.
Con la pandemia aumenta la paura e di fronte alla difficoltà economica tutto questo si trasforma in una difficoltà prolungata. Anche per questo crescono le polemiche.
Da giorni sembrano infatti crescere i Paesi nella lista rossa, e al momento per i cittadini di numerosi Paesi è proibito volare in direzione dello Stato ebraico. Tra questi, Spagna, Francia e Emirati Arabi Uniti, che si aggiungono alla Gran Bretagna. Di fronte al pericolo caratterizzato dalla variante Omicron, il governo di Gerusalemme ha deciso di prendere nuovamente decisioni radicali.
Il 4 dicembre era infatti attesa una grande festa per la tradizionale cerimonia nella piazza della Mangiatoia. Nel 2019, prima dello scoppio della pandemia, i turisti erano addirittura due milioni, e quest’anno avrebbe dovuto segnare lo spartiacque per il salvataggio delle festività di Betlemme.
La città nel Medio Oriente, e in particolare i cristiani che ci vivono, ormai da inizio 2020 si trovano in situazioni economiche molto dure, e solo in pochi riescono a continuare a esercitare le proprie attività esportando all’estero i propri prodotti. Dall’inizio della pandemia, in totale, il Paese è infatti rimasto visitabile senza restrizioni dai non israeliani e non residenti solamente per 28 giorni.
Molti per un area che vive principalmente di turismo, in particolare religioso. Dal primo novembre, l’ingresso era consentito solamente per i turisti vaccinati. Dopo l’insorgenza della variante Omicron, le cose sono peggiorate. Così, anche quest’anno il governo di Gerusalemme ha deciso di chiudere le frontiere.
Purtroppo, però, con alcune eccezioni. Le comunità cristiane hanno infatti provato a ottenere permessi speciali per i pellegrini, per cercare almeno di salvare il salvabile. Si è parlato di una sorta di corridoi speciali e immunizzati per la fede, che almeno permettessero di tornare a pregare in Terra Santa.
Permesso negato senza attenuati. Ma non per tutti. Un comitato governativo ha infatti preso una decisione che da subito ha fatto discutere e che probabilmente continuerà a farlo a lungo. Si è scelto infatti di permettere le visite in gruppi, ovviamente monitorati, solamente ad alcuni giovani ebrei nordamericani, intenzionati a visitare Israele durante le vacanze di fine anno con tour organizzati dall’associazione Birthright.
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Una vera e propria penalizzazione che ha lasciato l’amare in bocca. Ci si chiede perché di fronte a un provvedimento sanitario, la distinzione sia posta non sullo stato di salute ma sulla propria fede.
“Queste discriminazioni razziste non devono accadere”, è il duro commento di Wadi Abunassar, portavoce per le varie denominazioni cristiane. “Ci appelliamo alle autorità israeliane perché garantiscano l’ingresso a tutti quelli che vogliono visitare il Paese indipendentemente dalla religione”.
Sull’agenzia Associated Press è così comparso il commento di una fonte rimasta anonima ma che rivela come la Chiesa cattolica sia del tutto furiosa con il governo israeliano, e che la stessa si sarebbe ora appellata al ministero del Turismo. Anche se a scegliere è il ministero degli Interni, guidati da Ayelet Shaked, alleata del premier descritta come “oltranzista”.
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Al momento, pare che dal ministero si sia parlato della possibilità di ammettere altre eccezioni in futuro, ma senza specificare quali. Difficilmente si aprirà una speranza per i cristiani, stando almeno a quanto stabilito negli attuali bandi. Una vera e propria ingiustizia, di cui non c’era bisogno, e che speriamo si possa risolvere al più presto.
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