In questi giorni drammatici in cui ogni giorno contiamo i morti, a qualcuno i numeri non tornano.
Ci si chiede: come mai due paesi come Italia e Germania, che hanno un numero di contagi molto simile, registrano una forte differenza in termini di persone decedute? Forse ci sono differenze nei criteri utilizzati per questa “conta” terribile.
In Italia ogni sera alle 18 abbiamo imparato, in una sorta di ritualità funerea, la conferenza stampa della Protezione civile in cui vengono resi noti i numeri delle persone defunte in giornata. Assieme alle contagiate e alle guarite. E si confrontano gli andamenti: più di ieri, meno di ieri, curva crescente o decrescente…
L’unica cosa di cui siamo certi è che il numero delle vittime è sempre troppo drammaticamente alto. Siamo intorno attualmente ai ottantacinquemila positivi, centomila contagiati, diecimila morti. Qualcuno ha cominciato con il passare dei giorni a fare confronti con gli altri paesi. In Germania, ad oggi, siamo più o meno allo stesso numero di contagiati.
Mentre però il numero dei morti è infinitamente più basso, poco più delle 200 persone, più o meno come quante ne registrava l’Italia nella prima settimana di allarme, ancora prima che chiudessero tutto il paese. A parità di morti, noi avevamo solamente cinquemila contagiati, più di dieci volte in meno di quanti ne ha la Germania oggi.
Non si pensa che la Germania sia arrivata a truccare in qualche modo i numeri. Ma non è nemmeno pensabile che i medici tedeschi siano così più bravi degli italiani da evitare un numero così alto di decessi. Però, un motivo dovrà pur esserci. Questo lo si dovrà trovare analizzando i dati e le statistiche disponibili.
In questi giorni abbiamo sentito parlare di paesi, come la Cina, che secondo le denunce di alcuni quotidiani locali avrebbero nascosto nelle foto le bare dei propri cittadini defunti a Wuhan. Abbiamo sentito, nei primi giorni dell’emergenza, premier come Boris Johnson che parlavano di immunità di gregge e di necessità di “abituarci” a vedere morire i nostri cari.
Dichiarazioni inaccettabili che si instaurano in una cultura della morte e contro la vita che ci chiede di sacrificare i nostri cari sull’altare del dio denaro. Fino al momento in cui, una mattina, si sono svegliati e si sono accorti che lo stesso Boris Johnson, e persino il principe Carlo, sono risultati positivi al Coronavirus. A riprova del fatto che, nella malattia, siamo tutti sotto lo stesso cielo. E che davanti al Signore, abbiamo tutti lo stesso valore e la stessa dignità.
L’unica spiegazione di queste differenze numeriche tra Germanie e Italia, tuttavia, pare essere derivata dal fatto, rimarcato più volte, che il Coronavirus va ad incidere fortemente sulle patologie già esistenti. In Italia, la maggior parte dei decessi ha toccato uomini e donne che avevano già delle complicazioni di salute. E in età particolarmente avanzata. Anche se ci sono stati decessi anche tra i giovani, come purtroppo le cronache testimoniano.
Normalmente, i dati Istat sulla mortalità dicono che in Italia muoiono in media 650 mila persone anno, come nel 2017. Una su mille per colpa dell’influenza. Tra gennaio e febbraio, ogni giorno in Italia cinque persone muoiono di influenza. Trentasette persone muoiono ogni giorno, normalmente, di polmonite. Ma oltre 600 per colpa di malattie cardiocircolatorie.
Perciò il rischio paventato da alcuni studiosi è che questi decessi rientrino nei numeri della mortalità che riguardano periodi in cui non c’è l’allarme Coronavirus. Che purtroppo, ripetiamo, aggrava le patologie già esistenti.
Quindi l’unica risposta è che viene fatto un diverso calcolo dei morti “per” Coronavirus e quelli “con” Coronavirus. Evidentemente la Germania ha un modo molto diverso dall’Italia di effettuare questo conteggio, e la sproporzione che ne risulta è palese. I tedeschi, molto probabilmente, stanno escludendo dal loro conteggio tutte le persone decedute a causa del Coronavirus ma che avevano tuttavia anche altre patologie pregresse. E che rientrano quindi negli indici “ordinari” di mortalità.
Le domande allora che ci si pongono, sono: si tratta solo di una questione di numeri e statistiche? E come sarebbe cambiato se anche l’Italia avesse adottato fin da subito questo metodo? Avremmo lo stesso una simile emergenza anche lavorativa, con un numero particolarmente alto di aziende che rischiano di chiudere, e di cittadini che perdono il posto di lavoro?
A tutto ciò, non abbiamo una risposta univoca. Probabilmente però, bisognerebbe fare un giro nelle corsie di emergenza degli ospedali, e ascoltare i medici che spiegano bene come queste siano diventate una vera e propria “trincea”, per avere un quadro reale del problema. E bisognerebbe interpellare i malati, le persone intubate negli ospedali, i loro parenti, le persone che si sono salvate per poco, per avere bene la consapevolezza della realtà che questa emergenza pone a tutti noi.
Per capire che non si parla di numeri, ma di persone. E che ogni accortezza in più, ogni attenzione maggiore, ogni sottovalutazione in meno, ci fa diventare più umani. E ci fa riconoscere più uniti, un popolo unico che combatte il male, piuttosto che un insieme di persone singole che nasconde la polvere sotto il tappeto. Fingendo che va tutto bene, e per questo non dovremmo farci caso.
Nelle difficoltà, però, la nostra preghiera deve salire al cielo più forte di prima. Dobbiamo invocare il Signore e chiedergli di darci la forza di restare umani in queste situazioni così dure e difficili. Di non anteporre gli interessi del dio denaro, ma di riconoscere la vita come bene supremo perché donataci direttamente dal Nostro Signore.
E che quindi va custodita e benedetta, in ogni contesto, a ogni costo. Preghiamo affinché i nostri governanti possano compiere le scelte giuste di fronte a queste emergenze improvvise. Perché i nostri popoli non smarriscano mai la strada che il Signore ci ha mostrato, quella della carità e della solidarietà umana. La stessa che ci rende Giusti di fronte al Signore, perché abbiamo mettiamo in pratica nelle nostre vite e nelle nostre società la Sua parola.
Giovanni Bernardi
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