La fede degli italiani? Apparentemente in declino. Ma sotto la superficie cova un sentimento religioso vivo e in attesa di riscoprire l’incontro con il Signore.
Il sociologo Franco Garelli ha infatti indagato il sentimento religioso degli italiani all’interno del libro “Gente di poca fede” come sta cambiando il rapporto degli italiani con la fede e la religione. I risultati purtroppo non sono dei più incoraggianti, come dimostra già il titolo del suo ultimo lavoro.
“Un titolo suggestivo, ma bifronte, che si applica a ciò che succede nella maggioranza della popolazione”, ha subito esordito il professore intervistato dalla testata SettimanaNews. Uno slogan che segnala purtroppo l’allarme culturale della mancanza di fede degli italiani, una stanchezza dal punto di vista religioso che purtroppo sta investendo il cattolicesimo nel nostro paese ormai da anni.
Molti italiani, infatti, vivono in quel limbo particolare in cui hanno la forza di spezzare il loro legame con la fede cristiana, ma che allo stesso tempo non riescono a smuoversi dai margini di una vita che di religioso ha bene poco. Sono in sostanza cristiani ma solo nominalmente, e non nei fatti, con la propria vita e testimonianza concreta di tutti i giorni.
Certamente, la fede debole resta un tratto caratteristico della debolezza umana. Solo pochi santi, in ogni epoca, sono riusciti a innalzarsi oltre certe vette di freddezza e abitudinarietà di cui purtroppo molti cristiani, uomini e donne, spesso si trovano ad essere imbevuti. E non per colpa propria, ma per le tante diverse situazioni della vita che portano a mettere al primo posto altri interessi. Dimenticandosi però che solo Cristo è la vera gioia dell’uomo.
“Gente di poca fede non è uno stigma, quanto la presa d’atto che – per molti – la modernità avanzata non ha sradicato i riferimenti religiosi, ma li ha resi più fragili e incerti”, spiega l’autore. “Una fragilità che si confronta giorno dopo giorno sia con la presenza dinamica di nuove fedi e culture, giunte a noi attraverso la rete e le migrazioni; sia con il diffondersi nel paese delle posizioni ateo-agnostiche”.
Una presa d’atto che perciò dovrebbe farci molto preoccupare, cattolici e non. Forse. Uno dei dati tuttavia più curiosi, quasi inaspettati, è quella che vede un exploit del “cattolicesimo culturale”. Ovvero un’adesione puramente nominale al cattolicesimo come deposito di tradizioni e valori, ma non necessariamente di fede vissuta nella propria vita.
Per il sociologo, ciò è dovuto al fatto che in un momento in cui crescono altre fedi e spiritualità, laiche, new age, orientali e quant’altro, molti italiani vedono il bisogno di riaffermare i valori della propria tradizione rimettendo al centro il cristianesimo come radice indiscutibile della nostra società.
Questo tipo di approccio sembrerebbe che uno dei più diffusi in questo momento, in cui i cristiani si dichiarano tali per il semplice fatto di essere nati e cresciuti in un contesto cristiano. Segno di una curiosità e di un senso di appartenenza che segna un primo passo nel ritorno a una fede?
In ogni caso, si tratta, spiega l’autore, di “un’area grigia della religiosità è vista con sospetto o sufficienza da molti uomini di Chiesa. Come una fede residua o decaduta. Eppure anch’essa coltiva le sue domande di senso, che si attivano in particolari circostanze”.
Una realtà che potrebbe essere anche conseguenza del cambiamento di linguaggio della Chiesa avvenuta a partire dal Pontificato di Francesco. Visto che, come ha affermato più volte il Pontefice, “è meglio generare processi che occupare spazi”.
“Può essere questa l’area di impegno di una Chiesa “in uscita”, come la vorrebbe papa Francesco: che non cura soltanto i pochi che stanno nel recinto, ma guarda ai molti ormai situati oltre gli steccati. E al loro bisogno di Dio e di una comunità, anche se la loro biografia religiosa ed etica può risultare travagliata.”, spiega infatti Garelli.
Tuttavia, uno dei maggiori problemi che si presenta al cattolicesimo in Italia riguarda la formazione cristiana dei giovani, che rischia di creare una distanza crescente con le nuove generazioni.
Per il sociologo si tratta di “un altro segno del cattolicesimo stanco. La presenza negli ambienti ecclesiali (nei riti, ma anche nell’associazionismo, e tra i cattolici più impegnati) più di teste bianche o calve che di teste folte o rasate. Quindi un cattolicesimo più in sintonia con gli adagi della vita che con gli allegri”.
Di fatto, cioè, anche se tanti “bambini e adolescenti incrociano gli ambienti ecclesiali” lo fanno “per il catechismo o per attività formative e di tempo libero”. “Ma, rispetto al passato, si tratta di una presenza perlopiù da “mordi e fuggi”, che dà adito ad una socializzazione religiosa presto interrotta”, conclude il sociologo.
“Qui emerge il limite di una formazione cattolica che fatica a raccordarsi al sentire delle nuove generazioni. Non mancano i giovani religiosamente attivi, ma si tratta di nuclei qualificati relativamente ristretti, più rispettati dai coetanei che seguiti”. Il che è dovuto da “una Chiesa mediamente “vecchia” (da vari punti di vista) nel suo personale religioso. E più dedita – per vari fattori – alla pastorale delle salute e delle esequie che alla pastorale giovanile e familiare.
Uno degli aspetti che tuttavia, in conclusione, sorprende di più il sociologo, riguarda il persistente sentimento religioso che nonostante tutto prosegue nel Paese, “in palese contrasto con il declino della pratica religiosa”.
“Anche tra i fedeli tiepidi o i praticanti occasionali, è diffusa la coscienza di vivere sotto una “sacra volta”, che si traduce nella sensazione che c’è un Dio che vigila sulla propria vita e la protegge o nella percezione che, in particolare circostanze, vi siano dei messaggi che giungono da un Essere che ci trascende”, spiega.
“Non sono pochi, inoltre, quelli che riconoscono di aver ricevuto nel corso della propria biografia dei favori divini“, conclude Garelli. “Più di quanto si pensi, sembra attivo (e per certi aspetti in crescita) un sentire religioso frutto di un rapporto diretto e personale col sacro, perlopiù non mediato dalle istituzioni religiose.
Si tratta di un’esperienza singolare, perché non è soltanto un riflesso della religiosità popolare, in quanto la si riscontra anche in un buon numero di persone che sembrano ai margini di un discorso di fede o degli ambienti ecclesiali. Si può dunque essere “gente di poca fede” e, nello stesso tempo, guardare di tanto in tanto verso l’Alto”.
Giovanni Bernardi
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