Qualche giorno fa a Zurigo è andata in scena la Jesus Parade, una manifestazione in cui partecipanti mostravano con orgoglio la propria fede in Gesù Cristo.
Si tratta della seconda edizione della parata in Svizzera, ma in giro per il mondo ce ne sono di simili (con nomi diversi) che vanno avanti anche da più tempo.
In un periodo storico in cui sembra che dichiararsi credente in Dio sia quasi peccato, fa piacere osservare come in alcune parti del mondo si mostri ancora orgoglio nell’appartenere a Dio. La modernità è, che piaccia o meno, composta da società che hanno in parte perso i propri tratti distintivi. Si tende ad andare verso una cultura condivisa, in cui popoli e confessioni religiose differenti collaborano per una società inclusiva e libera.
Spesso si pensa, a mio avviso errando, che questo combaci col perdere le proprie radici, abbandonare ciò che ha reso peculiare una terra. Il cambiamento è visto con terrore, come se debba per forza essere negativo. Ma la tendenza alla collaborazione e all’inclusione è una reazione alla Seconda guerra mondiale. L’Unione Europea e l’Onu sono sorte proprio per evitare che le differenze portassero alla scontro (anche se di mezzo ci sono interessi economico-politici). Fare fronte comune, scambiarsi conoscenze e informazioni utili, sono modi per fare crescere le società e avvicinarsi ad un concetto di fratellanza globale.
I cristiani rivendicano la paternità di questo tentativo di unire i popoli e sottolineano come le basi dei diritti fondamentali dell’uomo siano un’evoluzione del pensiero cristiano. Libertà, uguaglianza e fraternità sono gli assi su cui si sono basati l’illuminismo e la rivoluzione francese, ma sono anche i concetti che oltre mille anni prima hanno cambiato il modo di concepire il mondo. Perché allora infastidirsi quando altri ne potrebbero beneficiare? Richiudersi nel terrore dell’altro, nel nozionismo e nella dottrina significa tornare agli stessi errori dei dotti ebraici.
La migliore risposta ad un mondo in cui ci sono più voci e opinioni è quella di non smettere di credere ai propri valori. Se si manifesta per i diritti dei migranti, per la libertà ed i diritti sessuali, perché non lo si può fare per la propria fede? Proteste cristiane ce ne sono molteplici ogni anno per svariate ragioni, ma manifestazioni di semplice orgoglio d’appartenenza a Dio sono occasioni più uniche che rare.
Manifestare l’orgoglio di appartenere a Dio. Questo è quello che hanno fatto centinaia di persone lo scorso 7 ottobre al centro di Zurigo. Si è trattato di una vera e propria parata con un carro che anticipava tutti e diffondeva canzoni cristiane, dietro il quale una folla di persone di tutte le età gioiva nel mostrare la propria appartenenza. Queste persone hanno fatto semplicemente quello che si sentivano, hanno marciato a suon di musica e condiviso con i propri concittadini ciò che li rende orgogliosi.
Andando a controllare sul web scopriamo che la prima Jesus Parade di Zurigo è stata nel 2018, ma che in questo 2019 ce n’è stata una ad Albuquerque (New Mexico, Usa) e che una simile, chiamata ‘Jesus in the City’, si è tenuta a Toronto. Dare visibilità a questi fenomeni e imitarli anche nelle nostre città avrebbe molto più presa su giovani ed opinione pubblica che il giudizio negativo sulle rivendicazioni altrui. D’altronde non è lo stesso Gesù che insegnava a non giudicare, ma perdonare e dare l’esempio? Bhe in Svizzera hanno raccolto quel messaggio in chiave moderna.
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Luca Scapatello
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