Questa mattina in Piazza San Pietro sarà proclamato santo Josè Sanchez del Rio, il piccolo martire della spaventosa persecuzione anti-cattolica che si scatenò in Messico negli anni Venti del secolo scorso. La Canonizzazione ha luogo proprio mentre ricorre infatti il 90° anniversario della rivolta dei cattolici messicani, i quali – perseguitati da un feroce regime massonico e anti-religioso – insorsero in difesa della fede e della libertà. La rivolta finì in un martirio di popolo, in un bagno di sangue che vide barbaramente uccisi migliaia di uomini, donne, bambini, religiosi, vittime di un atroce quanto lucido progetto di scristianizzazione del Paese.
Fu una delle conseguenze della presa di potere di un’ideologia fortemente anti-cristiana, che si era insediata al governo sull’onda lunga delle vicende della Rivoluzione Messicana del 1910. Una classe dirigente giacobina (con forti legami con la massoneria e con centri di potere economico-finanziari internazionali) che, liquidata la fase ‘populista’ della Rivoluzione, quella appunto che aveva visto come protagonisti Villa e Zapata e che è stata resa celebre da tanta cinematografia hollywoodiana, venne meno a gran parte delle promesse di giustizia sociale, in particolare nei confronti dei contadini, e instaurò una forma di governo fortemente autoritaria, che, preservando gli interessi economici di pochi oligarchi (molti dei quali statunitensi), si attirò comunque il consenso dei ‘progressisti’ attraverso l’attuazione di una politica culturale ferocemente avversa alla Chiesa, o meglio: ad ogni espressione sociale del cristianesimo.
A partire dalla Costituzione del 1917 (tuttora in vigore, con qualche piccolo aggiustamento) veniva tolta alla Chiesa personalità giuridica. Vennero chiusi tutti gli ospedali, le cliniche, gli orfanotrofi, gli istituti di accoglienza, le scuole e tutti gli istituti educativi e di ospitalità retti dai cattolici. In poche parole, venne soppressa ogni realizzazione sociale, pubblica, che la fede e la carità avevano realizzato nel corso di quattro secoli in Messico. Veniva lasciata – ma solo per poco tempo – la libertà di celebrare il culto. Un cristianesimo confinato nella sagrestie e allontanato dalla società.
Questa strategia era analoga ad altre messe in atto dalla Rivoluzione Francese in poi: relegare Dio in cielo e i credenti nelle chiese (una sorta di ‘riserve’ per chi si ostinasse ancora, dopo l’emancipazione dalla religione, a voler seguire le ‘superstizioni religiose’). La finalità era la stessa di tutti i totalitarismi che pretendono di costruire l’uomo nuovo, violentando quella che è la natura dell’uomo stesso, la sua realtà concreta, in forza delle pretese dell’utopia. Come disse Lenin in uno dei più significativi esempi di questa forma mentis, «se la realtà non corrisponde alle teorie, tanto peggio per la realtà».
Così avvenne per il Messico, che subì il furore ideologico di chi stabilì che il paese andava purgato da ogni segno visibile del cristianesimo, a cominciare dalla società per finire alla coscienza dei singoli. Un’immane opera di scristianizzazione compiuta con la forza. Infatti si procedette con gli arresti, con le violenze fisiche, con le minacce, con la perdita del lavoro, con le uccisioni.
Di fronte a questa aggressione, i cattolici percorsero ogni via pacifica di opposizione: dalla raccolta di più di un milione di firme di protesta, al boicottaggio dei prodotti governativi, ad altre forme di resistenza civile e non violenta. La risposta del governo fu un ulteriore giro di vite: arresti, torture, fucilazioni senza nemmeno la parvenza di un processo. Ne fecero le spese tutti, anche se particolare fu l’accanimento nei confronti di religiose e sacerdoti. Alla fine, davanti alla spietata mattanza che devastava il paese, non restò che la scelta della legittima difesa in armi, allo scopo di salvaguardare i propri cari. Scoppiò la rivolta dei ‘Cristeros‘ (così venivano definiti sprezzantemente dai governativi i fedeli, a motivo della loro devozione a Cristo Re).
Non fu esattamente una guerra civile, almeno per l’idea che comunemente si ha di guerra civile, come di contrapposizione fra due fazioni politiche. Nel caso del Messico c’era invece da una parte un partito, una lobby al potere dotata di mezzi economici e di un esercito di leva obbligato a combattere contro i propri compatrioti e fratelli, e dall’altra un popolo intero che combatteva unicamente per difendere le libertà fondamentali: la libertà religiosa, la libertà di educazione per i propri figli, la libertà di vivere secondo i propri princìpi e non secondo l’ideologia imposta dallo stato. Fu una autentica guerra contro la religione, contro ogni segno della fede incarnata che pure costituiva la più autentica identità del Messico.
Tra i martiri che sfidarono questo potere e diedero la vita per testimoniare il loro amore alla Verità ci fu Josè Sanchez del Rio, un ragazzo che aveva appena tredici anni, appartenente alla Gioventù Cattolica, sezione aspiranti. Quando Callés diede inizio alla carneficina, volle far parte dell’Armata, andandosi a presentare ad uno dei suoi capi, il generale Mendoza. «Se io non sono in grado di portare il fucile – disse – potrà servirsi di me in molti modi, come custodire i cavalli, lavorare in cucina, portare l’acqua e le munizioni».
Volle essere un Soldato di Cristo Re. Scrisse alla madre: «Mamma, non lasciarmi perdere la bella occasione di guadagnarmi il Paradiso con così poca fatica e molto presto. Josè è ricordato come un bambino vivace, un amico per tutti pronto al gioco e allo scherzo, ma che non tralasciava mai di partecipare ogni giorno alla Messa e di accostarsi ai Sacramenti. Nell’accampamento era il beniamino. Pochi mesi dopo il suo arruolamento fu ammesso a fare parte del corpo di spedizione che si impegnò a fondo nella battaglia di Cotija il 5 febbraio 1928. Sanchez si trovava presso il generale Mendoza. Quando il cavallo del suo superiore cadde ucciso al suolo, il piccolo soldato saltò a terra, offrendo al generale la sua cavalcatura. Il suo gesto non servì: vennero fatti entrambi prigionieri. I nemici si stupirono per la presenza di un bambino tra le fila dei cristeros: lo minacciarono di fucilazione se non avesse dato notizie sui ribelli. Josè si oppose, sdegnato.
Venne rinchiuso nella Chiesa del villaggio, che era stata trasformata in pollaio. Josè passò la notte pregando, ma quando si accorse, alle prime luci dell’alba, della presenza di galli e galline nella chiesa, preso dall’indignazione tirò il collo a tutti gli animali. Quando i carcerieri se ne resero conto, lo picchiarono selvaggiamente. Alle botte Josè rispose: «Lasciatemi vivo per la fucilazione, per morire martire». Per fargli paura lo fecero assistere alle impiccagioni di altri prigionieri, ma Josè non si fece prendere dalla disperazione, e pregava per loro. Gli fu permesso di scrivere alla mamma: «Cara mamma, mi hanno catturato e stanotte mi fucileranno. E’ venuta l’ora che io ho atteso tanto. Io ti saluto insieme ai miei fratelli, e ti prometto che in Paradiso preparerò un buon posto anche per voi tutti».
Si firmò Josè Sanchez del Rio, «che muore in difesa della Fede, per amore di Cristo Re e della Regina di Guadalupe». Fu ucciso, in odio alla Fede, il 10 Febbraio 1928. Il grande intellettuale francese Andre Frossard scriveva anni fa «il mondo vuole un cristianesimo smorto e pusillanime, ansioso di ottenere il diritto di cittadinanza in una società che lo disprezza».
Josè e i Cristeros ci insegnano ancora oggi che il cristiano non deve avere paura di fronte al mondo di testimoniare la propria fede. Ma la sua canonizzazione avviene in un contesto storico sia locale che globale che non può non interrogarci e riattualizza quel sacrificio. Ancora oggi, come 87 anni fa, il Messico sta vivendo una nuova ondata di persecuzioni e politiche totalitarie. L’imponente manifestazione del Frente Nacional por la Familia nasce proprio come reazione alla decisione del presidente del Messico di impedire la libertà di educazione e quella religiosa, attraverso i vessilli della teoria gender che si vuole introdurre in tutte le scuole oltre all’introduzione del matrimonio omosessuale.
Vescovi messicani iniziano ad essere denunciati e molte scuole sono chiamate al sacrificio della perdita dell’accreditamento, come mostrato anche in Spagna.
A queste politiche distruttive per l’uomo, non meno anticlericali di quelle delle lobby massoniche al governo nel Paese centr’americano, si si oppone, oggi come ieri, con le armi della preghiera, della testimonianza pubblica e della fede e non è un caso che nel corso dei tanti cortei di piazza, gli oltre 2 milioni di camisetas blancas abbiano issato l’effige di Sanchez Del Rio che al grido di que viva Cristo rey ha fatto risplendere la sua gloria in un campo di battaglia che lo vedeva martire.
Il suo sacrificio ci arriva ancor oggi in un mondo ostile alla proposta cristiana e alla verità ultima sull’uomo, un mondo che attraverso nuove forme di ideologia vuole tappare la bocca alla libertà.
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