La vicenda della partita Juve-Napoli ci mostra come troppo spesso la normalità in Italia sia l’arbitrio di abusi, ripensamenti, cavilli. Da cui si origina il caos.
In questo caso, nonostante ci fosse un protocollo ben stabilito dalla Lega Calcio si è deciso di andarvi contro, e pur di essere protagonisti si è voluto toccare il fondo. Forse per interesse, o per mancanza di opportunismo, alle scelte di buon senso si preferisce cavalcare l’onda del momento. Che porterà pure consensi, ma sulla pelle delle persone.
Di fatto, l’unica cosa certa è che Juventus-Napoli non si è giocata. Alla fine la partita si è dichiarata chiusa, ma allo Stadium la Juve e la squadra arbitrale si sono presentate, perché è quello che prevedevano la regole. E fino a prova contraria, quando c’è una regola la si rispetta.
Il problema è che mancava il Napoli, che non è potuto partire a causa della richiesta fatta dalla Asl locale. Nonostante la Lega di Serie A ha sostenuto fermamente che le condizioni per rinviare la partita non c’erano. Non c’erano contagiati, e quindi non c’era alcuna ragione per decidere quanto si è deciso.
Tutto è nato con la lettera dell’Asl al Napoli: “Non partite”. Suffragata dalle parole del Comitato tecnico scientifico, che ha richiamato “gli obblighi di legge sanciti per il contenimento del contagio dal virus” e ribadito “la responsabilità dell’Autorità Sanitaria Locale competente e, per quanto di competenza, del medico sociale per i calciatori e del medico competente per gli altri lavoratori”.
Decisione poi confermata dalle parole di Speranza che in serata ha parlato del blocco come di una “notizia consolidata”. La Lega Calcio ha subito rigettato al mittente il blocco della partita e ha affermato che la partita andava giocata. La nota ufficiale in cui si mette nero su bianco la propria posizione ha così dato vita, per l’ennesima volta, a un muro contro muro. Uno scontro cioè che finirà inevitabilmente “a carte bollate“.
I calciatori della Juventus hanno così lasciato l’Allianz Stadium dopo i primi 45 minuti, perché è ciò che prevede il regolamento. Vincendo la partita 3-0 a tavolino, salvo reclami, che peraltro certamente arriveranno.
Intanto, in tutto il resto del campionato, le partite continuano ad andare avanti. Ad eccezione di Genoa-Torino, giustamente rinviata, ma con la semplice differenza che lì i calciatori che sono stati trovati positivi erano quindici, che ha reso necessario mettere tutta la squadra in quarantena. Nel caso del Napoli erano solamente tre, e si potevano benissimo lasciare a casa. Tutti gli altri, dopo i tamponi, sono risultati negativi.
“Non potevamo partire, la Asl ha preso in considerazione la possibilità della deroga prevista dal protocollo, ma non ci ha dato il via libera, dovete rinviare la partita”, ha spiegato il presidente Aurelio De Laurentiis, rispondendo a Federcalcio, Lega, Juventus e Giudice Sportivo e chiedendo di spostare la partita.
Il vice ministro della Salute Pierpaolo Sileri ha così avallato la decisione napoletana, affermando in televisione che “è la Asl che decide, che individua il rischio ponderato dei contatti stretti e decide se questi devono stare in quarantena o no”.
Il presidente della Juventus Andrea Agnelli tuttavia non ci sta, e risponde per i toni. “Abbiamo dei protocolli che sono molto chiari”, ha detto il patron del club bianconero. “Si sa esattamente cosa fare, andare in isolamento fiduciario presso una struttura concordata con la Asl e questo ci permette di giocare le partite. Il protocollo è stato studiato dalla Federazione col governo”.
Agnelli ha poi concluso spiegando che nonostante si tratti di “un documento vivo, l’importante è avere lo spirito di lealtà sportiva, le casistiche di volta in volta verranno affrontate e risolte”. E rivolgendosi direttamente a De Laurentiis ha affermato: “Gli ho risposto che la Juve, come sempre, si attiene ai regolamenti“.
Il punto che infatti spiega tutta la vicenda è proprio questo: sul calcio decide il calcio. Per questo l’ipotesi di blocco non esiste, e non può esistere. Ancora meno avrebbe alcuna ragione un possibile stop, come si arriva persino a vociferare, dell’intero campionato di serie A.
Intanto, a conferma che si tratta della solita storia italiana, in cui le regole della Figc e del Cts si scontrano con quelle delle Regioni e delle Asl, si vocifera di una chiamata nascosta tra il presidente del Napoli De Laurentis e il presidente della Campania Vincenzo De Luca, oltre che di un tentativo di contatto di De Laurentis con lo stesso Agnelli.
L’idea di provare a scavalcare a tutti i costi il protocollo concordato tra Lega calcio e Ministero della Salute, è ancora una volta frutto di una visione distorta dei rapporti umani, che cercano di essere piegati sempre nella direzione del proprio interesse. Non del buon senso, o degli accordi presi, che in questo caso prevedono che nel calcio il positivo deve essere equiparato a un infortunato, non a un cittadino normale.
La Lega Serie A aveva infatti spiegato chiaramente che “il sistema di regole in vigore deve garantire massima tutela della salute per le persone coinvolte, parità di trattamento tra i vari club, nonché rispetto dei principi di lealtà sportiva”. E che “nel caso di specie, invece, si applica il Protocollo Figc concordato con il CTS e integrato dalla Circolare del Ministero della Salute lo scorso 18 giugno, che recepisce il parere del CTS n. 1220 del 12 giugno 2020”.
Protocollo che però “non è stato tenuto in considerazione neanche nella mail del vice capogabinetto del Presidente della Regione Campania”. La norma stabilita era infatti già stata applicata in numerose altre situazioni. Come tra Atalanta contro Torino o Cagliati, e tra Milan contro Genoa o Crotone.
“Il protocollo prevede regole certe e non derogabili, che consentono la disputa delle partite di campionato pur in caso di positività, schierando i calciatori risultati negativi agli esami effettuati e refertati nei tempi previsti dalle autorità sanitarie”, ha ribadito la Lega.
Il regolamento prevede infatti che il rinvio gare può sussistere “solo al verificarsi di determinate condizioni che, al momento, non si applicano al caso del Napoli, e non sussistono provvedimenti di Autorità Statali o locali che impediscano il regolare svolgimento della partita”. In sostanza, concludeva il comunicato della Lega Calcio, “la “ratio” del protocollo resta, quindi, quella di consentire la disputa di tutte le partite e conseguentemente la conclusione regolare della Serie A”.
Un’altra notizia che sta circolando riguarda il comportamento della società partenopea in tema prevenzione Covid-19. La Asl, infatti, non doveva necessariamente intervenire, se il protocollo FIGC-Governo che garantiva agli azzurri di lasciare l’isolamento fiduciario per giocare la partita, fosse stato seguito alla lettera dalla squadra di De Laurentis.
Il Napoli, dopo la comunicazione della positività del Genoa doveva dunque creare la cosiddetta “bolla” per tutto il suo staff. Bolla che, come si vocifera, non sarebbe stata messa in atto.Se questo aspetto venisse confermato ci troveremmo difronte ad una chiara violazione del protocollo e i campani sarebbero passibili di ulteriori sanzioni.
Il punto è che il calcio rappresenta un settore economico a parte. Con sedi sparse in tutti i luoghi d’Italia, che sottostanno a regole nazionali. Impensabile che ogni area, regione, città faccia le regole per conto suo. Essendoci giocatori positivi un po’ ovunque, se tutti vogliono comportarsi da protagonisti tra poche settimane il campionato salterà. Per questo è necessario che le decisioni vengano prese a livello centrale, e soprattutto non le si cerchi di scavalcare ogni volta.
Insomma, per salvare lo sport (e la società in generale) servono regole certe, mentre giocare allo sceriffo piace ma non sempre serve a ristabilire l’ordine. In certi casi si finisce per generare solamente il caos.
Giovanni Bernardi
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