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Kenya: musulmani difendono cristiani da attacco di al Shabaab

Sta facendo il giro del mondo la notizia che in Kenya un gruppo di musulmani ha evitato l’ennesima carneficina di civili cristiani ad opera del gruppo jihadista Al Shabaab. E’ accaduto nel nordest del Paese, al confine con la Somalia. I miliziani hanno assalito un bus intimando ai musulmani di separarsi dai cristiani per ucciderli, ma nessuno si è mosso. Anzi, secondo testimoni, la risposta è stata: “Uccideteci tutti o lasciateci andare”. Un episodio che sorprende e lascia ben sperare, come racconta al microfono diGabriella Ceraso, il parroco di Iriamurai, nella diocesi di Embu, don Piero Primieri:

R. – La stampa locale, soprattutto il giornale più diffuso, il “Daily Nation”, riporta la notizia con grande evidenza, a tutta pagina, scrivendo come i musulmani abbiano fatto scudo ai cristiani contro al Shabaab, anche se uno è stato ucciso e tre feriti. Ma la notizia è veramente di grande incoraggiamento, è una gioia, vedere come le cose stanno cambiando.

D. – Non è la prima volta che succedono attacchi in quell’area. Che zona è?

R. – E’ proprio nordest del Kenya, incuneata tra la Somalia e l’Etiopia. Una zona un po’ difficile, perché oltre ai somali ci sono anche e spesso gli Oromo che si muovono dall’Etiopia e vengono giù. Quindi, è una zona molto difficile. Nello stesso posto, sono stati già fatti altri attacchi.

D. – Quanto è importante che la forza, la decisione di questa iniziativa parta dai musulmani?

R. – E’ veramente di grande incoraggiamento. In verità, il governo sta facendo con gli imam e i leader musulmani locali uno sforzo per cercare di contenere e anche recentemente in tutto il Kenya i leader musulmani hanno invocato veramente un cambiamento di atteggiamento. Chissà, un po’ loro, un po’ la visita del Papa, ecco qualcosa sta cambiando anche tra i musulmani.

D. – Lei ha citato la visita del Papa: mi veniva in mente l’incontro con i giovani segnato proprio dalle parole del Papa che invitava a essere un’unica nazione, a sentirsi un’unica nazione. Ma anche il presidente Kenyatta lo ha chiesto e sottolineato…

R. – Sì, sì. Io penso che quella visita del Papa abbia portato tante conseguenze. Qui attorno sento la gente che sta commentando positivamente quanto accduto e dice: è veramente frutto della visita del Papa, di quanto ha detto e dell’atteggiamento che ha avuto nei confronti di tutti, perché ha saputo veramente toccare, appellarsi alle cose più profonde della persona umana. Deve avere avuto un grande impatto sulla gente.

D. – Quanto accaduto è anche di auspicio un po’ per quello che sta succedendo oggi nel mondo. Si dice: contro il terrorismo tutti devono fare corpo. E se gli atteggiamenti nuovi fossero anche proprio quelli dei musulmani, contro un terrorismo che distrugge il cuore dell’islam, forse le cose cambierebbero?

R. – Vedere che una sessantina di passeggeri si tengono assieme e i musulmani che gridano e scacciano via i guerriglieri è veramente un segno di un cambiamento, anche perché ci vuole tanto coraggio…

D. – Lei dice “coraggio”: che clima si respira quando tutti i giorni si ha a che fare con attacchi di questo tipo?

R. – Qui nel Paese stiamo passando un momento molto difficile, anche perché politicamente stanno venendo fuori un sacco di abusi che sono stati fatti in passato e la gente è molto scoraggiata e sconcertata. Io penso che una notizia del genere darà coraggio e coscienza, anche, che bisogna incominciare dalla base a cambiare attitudine e atteggiamento nei confronti degli altri. La fraternità comincia così. Non è facile, perché naturalmente sono tutti più portati alla divisione, al contrasto… Ma quell’appello del Papa a non chiudersi nel tribalismo, nel clanismo, forse sta portando qualche frutto.

fonte: radiovaticana

Emanuele

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