“Prego ardentemente il Signore che si degni di fortificare la mia fede, affinché, nelle grigia vita quotidiana, non mi regoli secondo considerazioni umane, ma secondo lo spirito.
Oh, come tutto attira l’uomo verso la terra! Ma una fede viva mantiene l’anima in una sfera più alta ed assegna all’amor proprio il posto che gli spetta, cioè l’ultimo.”.
Questo diceva Santa Faustina Kowalska, nel suo Diaro, in cui sono riportati dei dialoghi con Gesù Cristo stesso, che la istruiva su come fosse possibile ottenere la Misericordia del Padre e le sue infinite grazie.
Ma il discorso dell’amor proprio, strettamente collegato, e in antitesi, con quello dell’umiltà, è un argomento davvero difficile da comprendere, poiché implica l’accettazione del fare un passo indietro, rispetto agli altri, forse anche meno capaci di noi, purché essi riescano a progredire nella fede e nella vita, anche più (o prima) di noi.
E’ esattamente il contrario, quindi, di ciò che facciamo ogni giorno: mostrare al mondo le nostre capacità e aspettare che ce le riconoscano.
Cose fare allora per ritornare a coltivare l’umiltà che il Signore ci chiede? Ecco alcuni spunti:
Prima di tutto bisogna, non solo accettare gli altri, ma sforzarsi di vedere in loro qualcosa di buono.
Il Curato d’Ars diceva: “Se non hai umiltà, puoi dire di non avere nulla” e definiva se stesso come uno zero, che poteva aver valore solo accanto ad altre persone (come lo zero accanto alle altre cifre).
Quando, poi, troviamo quell’aspetto, nell’altro, che ci sembra un bene, si passi a riconoscerglielo, dicendoglielo chiaramente.
Nel contempo, alleniamoci a capire anche i nostri errori, quelli, soprattutto, dettati dalla sensazione di bastare a noi stessi, ammettendo e chiedendo scusa, prima che sia troppo tardi, a Dio e ai fratelli.
Questo esercizio ci insegnerà a renderci conto dei nostri limiti, ma anche delle nostre necessità, rendendoci bisognosi di grazie, di misericordia, in una parola “umili”.
Facendoci aiutare, ancora, dal Curato d’Ars, teniamo a mente che “L’umiltà è una torcia che espone alla luce del giorno le nostre imperfezioni; non consiste, dunque, in parole, né in opere, ma nella conoscenza di se stessi, grazie alla quale scopriamo, nel nostro essere, un cumulo di difetti che l’orgoglio fino a quel momento ci nascondeva.”.
A quel punto servire gli altri, sarà una logica e sentita conseguenza, come Cristo, maestro degli Apostoli, che durante l’Ultima Cena lavò loro i piedi, rendendosi servo.
E, infine, ma non alla fine, ricordiamo di dire “grazie” a Dio per averci concesso la capacità, l’intelligenza, la docilità di comprendere queste cose e tentare, tra una caduta e l’altra, di metterle in pratica.
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