LA FRANCIA CONTRO I DOWN
Non è la prima volta che dalla Francia arrivano segnali alquanto discriminatori, sulla diffusione di video e notizie a sostegno delle persone affette da sindrome di Down.
Eppure, la stessa Francia ha dato i natali al dottor Jerome Lejeune (oggi Servo di Dio), copritore delle cause della trisomia 21.
Ed è proprio l’associazione che porta il suo nome a denunciare (come conferma l’European Center for Law and Justice (ECLI)), alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, il Consiglio di Stato francese. Il documento porta il nome di “Last Hope for Freedom of Expression of People with Down Syndrome” (L’ultima Speranza per la Libertà di Espressione delle Persone affette da Sindrome di Down); l’accusa è che il Consiglio abbia vietato la proiezione della clip “Chère future maman”.
Si tratta di un video anti-abortista, interpretato da ragazzi Down, che avrebbero potuto rischiare di non nascere mai. Il messaggio, molto forte e carico di vitalità, presenta i protagonisti portatori di handicap mentre raccontano alle loro madri la bellezza della vita, nonostante la sindrome.
Nel Marzo del 2014, la clip fu mandata in onda per la prima volta, da alcune Tv francesi a pagamento, proprio durante la Giornata Mondiale della Trisomia.
Chi oggi ne vuole la rimozione afferma che, il video in questione, potrebbe non essere di pubblico interesse e, soprattutto, arrecare disagio alle donne che stanno decidendo di abortire.
Gli articoli 10 e 14 della Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo, che parlano della libertà di espressione, senza discriminazione di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, origine nazionale o sociale, appartenenza ad una minoranza o di ogni altra condizione, danno certamente ragione all’associazione di Lejeune, ma, la controparte, in maniera spicciola, si appella alla non opportuna collocazione del video in scaletta, facendo passare in secondo piano il vero dilemma, che riguarda il dichiararsi contro o pro life.
Tra l’altro, in Francia, sono previste dure sanzioni e pene detentiva per chi diffonde via internet “affermazioni o indicazioni tali da indurre intenzionalmente in errore, con scopo dissuasivo, sulle caratteristiche o le conseguenze mediche dell’interruzione volontaria di gravidanza”.
La domanda, che necessità di una risposta esaustiva, allora diventa: perché è così difficile difendere la vita o almeno apprezzarla? Chi può arrogarsi il diritto di dire chi debba vivere e chi no o quale sia la prerogativa perché si abbia diritto all’esistere?