Sterminate erano le memorie della vecchia signora: re e regine, intrighi e gerarchi, guerre e amori, donne (le altre donne del suo «lui») e anche santi. La vecchia signora era Rachele Mussolini, la moglie del Duce, e ora la nipote – stesso nome, figlia di Romano e di Carla Puccini – ha messo in un libro, con l’ aiuto di Benedetto Mosca, quel che ricorda dei racconti della nonna (Mia nonna e il Duce, Rizzoli, pp. 200, 18, in uscita domani). Frammenti, squarci, noti e meno noti, spesso confortati dal giudizio degli storici, talvolta ancora discussi o letti sotto altre prospettive.
Il posto dei santi – e questa, ad esempio, è una storia ben poco raccontata – spetta a Padre Pio da Pietrelcina. Che, nel 1936, non era il santino che è oggi sul cruscotto degli automobilisti e neppure, più rispettosamente, la figura consacrata dalla canonizzazione ufficiale. C’erano già migliaia di devoti che pellegrinavano a San Giovanni Rotondo ma c’era anche, pesante come un macigno, la sospensione a divinis decretata nel 1931, decisa dopo le ispezioni di padre Agostino Gemelli che aveva definito le stimmate «frutto di un’azione patologica morbosa», accusando il portatore di essere «psicopatico e imbroglione». Eppure – racconta la nipote – a Padre Pio si rivolse Rachele nel 1936 quando parevano svanite le speranze per la figlia Anna Maria. E l’aveva fatto – continua la ricostruzione basata sui ricordi tramandati dalla moglie del Duce – proprio il 19 giugno, alla vigilia di quello che i medici definirono un imprevedibile «miglioramento» e che Rachele giudicò immediatamente «un miracolo». Lei e Benito – si legge nel libro – avevano più volte parlato di quel frate «ribelle»: «E quando temettero che per Anna Maria fosse vicina la fine, gli fecero arrivare la loro supplica. Seppero in seguito che tutti i frati di San Giovanni Rotondo avevano pregato per la guarigione della loro bambina». Da lì una devozione che venne soddisfatta dall’incontro diretto, anni dopo, quando Rachele viveva a Forio d’Ischia. La vedova era ossessionata dai sogni del marito. All’inizio lo vedeva triste, la giacca trapassata dai proiettili, via via le apparse più sereno finché non lo ritrovò giovane, tranquillo a dirle che, dov’era, non c’ erano rancori. Pensò che era stato «accolto dal Signore». Voleva perciò una conferma autorevole e così, raccontava, decise di andare da Padre Pio, «l’unico sant’uomo di cui veramente mi fidassi». Continua il libro: «Si inginocchiò davanti a lui: “Sono la vedova di Benito Mussolini”. “Lo so”. “Che ne è di mio marito? Ha salvato la sua anima?”. “Perché lo chiedete a me? Non ve lo ha già detto lui quando è venuto a trovarvi?”. “Sì, me lo ha detto…”. “Alzatevi, donna pia, e andate in pace”».
C’ è molto altro, nei ricordi della nipote – nata nel 1974, un carattere schivo – basati sui contatti diretti con la nonna e il padre. Ci sono alcune delle infinite versioni sulle carte che Mussolini aveva con sé al momento dell’ ultima fuga: «Romano ne era sicuro e molto probabilmente aveva avuto qualcosa con sé. Anche se poi, per timore di ritorsioni, l’aveva bruciato», dichiara Mosca che col figlio del Duce ha avuto una lunga dimestichezza. Ci sono giudizi taglienti sui gerarchi e le rivelazioni di una sintonia con Maria José. C’ è, infine, il rapporto difficile con «quella donna», come Rachele usava riferirsi (fin quasi alla morte) a Claretta Petacci. E c’è, infine, il racconto del confronto fra le due, una notte di tregenda del 1943, a Gargnano sul Lago di Garda, fra Villa Feltrinelli, la residenza del Duce, e Villa Fiordaliso, poco lontano, dove viveva Claretta. Nei ricordi di Rachele tornava l’ ultimo avviso dato alla rivale: «Finirete male, signora».
ALCUNE PRECISAZIONI
1) Padre Pio non era un simpatizzante del fascismo. Quando vedeva i genitori “offrire” i figli al Duce, commentava: «È un peccato grave. I figli si offrono a Dio. E Mussolini la pagherà cara».
2) Padre Pio non fu mai sospeso a dinivis. Gli fu tolta la faccoltà di confessare e gli venne impedito di celebrare la Messa in pubblico.
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