La Passione di Cristo che in questi giorni ci apprestiamo a rivivere è stata negli anni descritta da alcuni mistici che hanno avuto l’onore-onere di rivivere interiormente le sofferenze di nostro signore in Croce e l’hanno trascritta per farla leggere ai fedeli come costante monito del sacrificio che Gesù Cristo ha affrontato per redimerci dai nostri peccati. Tra questi scritti c’è quello di Maria Valtorta, mistica vissuta dal 1897 al 1961, che colpisce per l’immediatezza dello scritto e per la sua attendibilità descrittiva.
Lo scritto sulla passione di Maria Valtorta non aggiunge nulla a quanto raccontato dai discepoli di Gesù nei vangeli, se non uno stile scrittorio immediato che si sofferma su ogni minimo dettaglio del giorno in cui Ponzio Pilato ha deciso di condannare il Messia su pressione dei Farisei, acuendo la percezione dell’ingiustizia su quella decisione e dandoci un quadro illuminante sulla crudeltà che ne è conseguita.
La Passione di Cristo attraverso gli occhi della mistica Maria Valtorta
Il primo estratto da evidenziare è proprio quello della decisione di Ponzio Pilato, il momento in cui la mancanza di polso del politico romano ha sancito la definitiva condanna di Gesù: “’Sia flagellato’ ordina Pilato a un centurione.’Quanto?’ ‘Quanto ti pare… Tanto è affare finito. E io sono annoiato. Va’. Gesù viene tradotto da quattro soldati nel cortile oltre l’atrio. In esso, tutto selciato di marmi colorati, è al centro un’alta colonna simile a quella del porticato. A un tre metri dal suolo essa ha un braccio di ferro sporgente per almeno un metro e terminante in anello. A questa viene legato Gesù con le mani congiunte sull’alto del capo, dopo che fu fatto spogliare. Egli resta unicamente con delle piccole brache di lino e i sandali. Le mani legate ai polsi vengono alzate sino all’anello, di modo che Egli, per quanto sia alto, non poggia al suolo che la punta dei piedi… E deve essere tortura anche questa posizione”.
Un altro passo che rimane impresso è quello successivo alle prime torture, quando i centurioni si rendono conto di aver usato troppa violenza e si chiedono se il condannato sia già morto: “I due boia si fermano e si asciugano il sudore. ‘Siamo sfiniti’ dicono. ‘Dateci la paga, che si possa bere per ristorarci…’ ‘La forca vi darei! Ma prendete…’ e un decurione getta una larga moneta ad ognuno dei due boia. ‘Avete lavorato a dovere. Pare un mosaico. Tito: dici che era proprio questo l’amore di Alessandro? Allora gliene daremo notizia perché faccia il lutto. Sleghiamolo un poco’. Lo slegano e Gesù si accascia al suolo come morto. Lo lasciano là, urtandolo ogni tanto col piede calzato dalle calighe per vedere se geme. Ma Egli tace. ‘Che sia morto? Possibile? é giovane e artiere, mi hanno detto… e pare una dama delicata’. ‘Ora ci penso io’ dice un soldato. E lo mette seduto con la schiena alla colonna. Dove Egli era sono grumi di sangue… Poi va ad una fontanella che chioccola sotto al portico, empie un mastello d’acqua e la rovescia sul capo e sul corpo di Gesù. ‘Così! Ai fiori fa bene l’acqua’: Gesù sospira profondamente e fa per alzarsi, ma ancora sta ad occhi chiusi”.
Malconcio ma ripulito, Gesù viene presentato alla folla il giorno seguente. Ponzio Pilato cerca un compromesso dicendo ai richiedenti giustizia di aver punito a dovere il condannato e suggerisce loro di usare clemenza. Come sappiamo questi non vogliono sentire ragioni ed insistono perché la condanna venga portata a termine. Una seconda volta il politico romano si trova nella scomoda posizione di prendere una decisione, ma sebbene la condanna a morte gli pare troppo, non ha il coraggio per imporre il proprio giudizio e lascia Gesù alla volontà della folla: “E mentre Gesù esce nel vestibolo e si mostra nel quadrato dei soldati, Ponzio Pilato lo accenna colla mano dicendo: ‘Ecco l’Uomo. Il vostro re. Non basta ancora?’. Il sole di una giornata afosa, che ormai scende quasi diritto perché si è a metà tra terza e sesta, accende e dà risalto agli sguardi e ai volti: sono uomini quelli? No: iene idrofobe. Urlano, mostrano i pugni, chiedono morte… Gesù sta eretto. E le assicuro che mai ebbe la nobiltà di ora. Neppure quando faceva i più potenti miracoli. Nobiltà di dolore. Ma talmente divino che basterebbe a segnarlo del nome di Dio. Ma per dire quel nome bisogna essere almeno uomini. E Gerusalemme non ha uomini oggi. Ma solo demoni.
Gesù gira lo sguardo sulla folla, cerca, trova, nel mare dei visi astiosi, i volti amici. Quanti? Meno di venti amici in migliaia di nemici… E curva il capo colpito da questo abbandono. Una lacrima cade… un’altra… un’altra… La vista del suo pianto non genera pietà, ma ancor più fiero odio.
Viene riportato nell’atrio: ‘Dunque? Lasciatelo andare. È giustizia’. ‘No. A morte, crocifiggi'”.
Luca Scapatello