Dimostrare che la sacra sindone è il sudario appartenuto a Gesù Cristo ha una doppia valenza: la prima è certamente storica, poiché confermerebbe oltre ogni dubbio la sua esistenza, la seconda religiosa, poiché si tratterebbe della reliquia più importante della storia della Chiesa Cristiana. A riguardo ci sono pareri contrastanti: sebbene le analisi scientifiche abbiano dimostrato che non si tratta di una creazione artistica (raggiungere un simile risultato non era possibile con le tecniche esistenti in passato) ci sono diversi dubbi legati alla datazione del reperto che, secondo le analisi svolte nel 1988, non corrisponde con il periodo in cui è vissuto Gesù Cristo.
Proprio in merito alle analisi svolte 29 anni fa, sono in molti gli studiosi che hanno attribuito il risultato della datazione alla contaminazione dei tessuti analizzati. Già nel 1993, durante il Simposio di Roma, Philippe Bourcier de Carbon (luminare dell’Institut national d’études démographiques) aveva sottolineato come ci fossero state delle irregolarità procedurali (tra le quali la mancanza di prove video) che fanno sorgere legittimi dubbi sui risultati ottenuti: “Una tale constatazione di carenze rimane completamente inusitata nel quadro di un dibattito autenticamente scientifico e non si può che deplorare questa deroga alla deontologia usuale”.
Nel recente libro ‘La Sindone. Storia e misteri (Odoya 2017)’, scritto in collaborazione tra lo storico Zerbini e l’esperta della storia della Sindone Emanuela Marinelli, viene affrontato proprio il problema della datazione della Sindone. L’argomento viene trattato principalmente da un punto di vista storico attraverso l’analisi delle testimonianze scritte. La sindone, infatti, viene citata da liturgisti orientali e latini. Il primi documenti scritti che si riferiscono al sudario risalgono al VI secolo dopo Cristo: uno è stato scritto da San Giovanni VI di Neuestetes (Patriarca di Costantinopoli), mentre l’altro da San Germano, Vescovo di Parigi.
Nel corso dei secoli le testimonianze scritte dell’esistenza del Santo sudario si sono moltiplicate, tuttavia la prima presenza certa della Sindone risale solamente al 1356-1370. La prova si trova su un medaglione votivo in cui il volto impresso nella Sindone è stato riprodotto: ritrovato nel 1855 è appartenuto al cavaliere crociato Geoffroy I de Charny, di cui ci si trova lo stemma nella parte posteriore (proprio in quel lasso di tempo de Charny partecipò alle crociate). Nel citare tutte le testimonianze e le raffigurazioni riguardanti la Sindone, i due studiosi sottolineano come sia più di un semplice caso che si somiglino tutte in modo impressionate: “La somiglianza tra il volto sindonico e la maggior parte delle raffigurazioni di Cristo conosciute nell’arte, sia orientale sia occidentale è evidente e non può essere attribuita a un puro caso; deve essere il risultato di una dipendenza, mediata o immediata, di un’immagine dall’altra e di tutte da una fonte comune”.
Nel libro, Zerbini e Marinelli rispondono anche a chi sostiene che la somiglianza tra le varie opere d’arte possa essere stata ispirata da un’immagine ideata dallo stesso creatore della Sindone in questo modo: “E’ una tesi non sostenibile, perché le ricerche e le analisi eseguite sulla reliquia hanno escluso, con certezza assoluta, ogni ipotesi di una fabbricazione con mezzi artistici”. Inoltre viene fatto notare come tale ispirazione comune non possa essere presa dalle Sacre Scritture, in quanto in queste non è presente una descrizione fisica di Gesù Cristo, né dai racconti dei primi cristiani che si riferivano al salvatore come all’agnello di Dio o ad altre figure simboliche come il pesce. Il testo evidenzia ancora una volta come gli indizi sulla veridicità della Sacra Sindone e sulla sua esistenza prima del medioevo sono numerosi, dargli peso o meno spetta alla fede di ciascuno.