Per quattro secoli la ‘Lettera del diavolo‘ scritta da suor Maria Crocifissa durante una notte in cui, a suo dire, i demoni le hanno fatto visita è stata un mistero, adesso ha finalmente un significato grazie al lavoro del Ludum Science Center di Catania. Il gruppo di studiosi ha analizzato le frasi trascritte attraverso un programma che compara diversi ceppi linguistici ed ha scoperto che quello scritto criptico ritenuto linguaggio del diavolo, in realtà non è altro che un miscuglio di lingue antiche.
Secondo quanto tramandato dalla Chiesa, Isabella Tommasi una notte ha ricevuto la visita di diversi demoni che l’hanno obbligata a scrivere quella lettera. Sconvolta per quanto accaduto, la giovane si è recata al monastero di Palmanova ad Agrigento ed ha raccontato quell’episodio, decidendo infine di prendere i voti.
Per la Chiesa del tempo non vi erano dubbi, la lettera era il risultato di una lotta frenetica contro il male in cui la giovane era stata costretta a scrivere quel messaggio che intimava all’Onnipotente di lasciare gli esseri umani nel peccato. L’Abadessa del monastero di Palmanova a riguardo scriveva che furono i demoni che obbligarono Isabella a scrivere quelle frasi sconnesse (di cui all’epoca venne tradotto solo “Ohimé”) ad imbrattarle la faccia d’inchiostro e a minacciarla di ucciderla con il calamaio se non lo avesse fatto, ma che Dio non lo permise.
Quattro secoli dopo, un gruppo di scienziati siciliani ha raccolto la sfida de ‘La lettera del diavolo‘ e dopo aver messo appunto un algoritmo in grado di decifrare linguaggi antichi, catturandone elementi comuni e unendoli per dare senso allo scritto, sono giunti alla conclusione che non si tratta di una lingua sconosciuta, bensì di un miscuglio di greco antico, latino, runico e yazidi.
A spiegare il processo di decriptazione ci ha pensato Daniele Abate, responsabile del progetto: “Abbiamo inserito nel programma l’alfabeto greco, quello latino, quello runico (delle antiche popolazioni germaniche) e quello degli yazidi, il popolo considerato adoratore del diavolo che abitò il Sinjar iracheno prima della comparsa dell’Islam, tutti alfabeti che suor Maria Crocifissa poteva avere visto o conosciuto. L’algoritmo prima individua i caratteri che si ripetono uguali, poi li compara con i segni alfabetici più simili nelle varie lingue”.
Dunque nessuna possessione demoniaca? Sebbene con l’algoritmo siano state decodificate solo poche frasi: “Forse ormai certo Stige” – “Poiché Dio Cristo Zoroastro seguono le vie antiche e sarte cucite dagli uomini, Ohimé” e “Un Dio che sento liberare i mortali”, secondo Abate i demoni della suora risiedevano solamente nella sua psiche: “Ogni simbolo è ben pensato e strutturato, ci sono segni che si ripetono, un’iniziativa forse intenzionale e forse inconscia. Lo stress della vita monacale era molto forte, la donna potrebbe avere sofferto di un disturbo bipolare, allora non c’erano farmaci né diagnosi psichiatriche. Certamente c’era il diavolo nella sua testa”.
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