Dopo aver scritto dei sacri lini che avvolsero il Corpo e il volto di Gesù morente, e sicuramente della Sindone, come anche del suo calco in 3D, realizzato dall’Università di Padova, solo qualche mese fa, ci troviamo nuovamente a testimoniare la nostra posizione, sulla veridicità di quelle reliquie, non solo per fede, ma con dati scientifici alla mano che lasciano dubbi, solo a chi vuole averne e usa il laboratorio per propinare scoperte azzardate, che nutrono certe ideologie anti cristiane.
Il Journal of Forensic Sciences ha pubblicato il risultato di una ricerca -la più recente, sulle macchie di sangue della Sindone di Torino, condotta da Matteo Borrini, dell’università di Liverpool, e da Luigi Garlaschelli, del Cicap (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze).
I due studiosi hanno simulato la crocifissione di Cristo, per giungere alla conclusione che molte delle macchie di sangue della Sindone non sarebbero compatibili con la posizione di un uomo ucciso sulla croce.
Dall’esperimento, molto simile a quello che si vedono nei telefilm e che ricostruiscono la scena di un crimine, si evince -secondo gli studiosi su citati: “Non abbiamo analizzato la sostanza che ha formato le macchie, ma abbiamo voluto verificare come potrebbero essersi formate sulla figura della Sindone”. Dunque, non si discute che si tratti di sangue -tanto per cominciare- ma che le macchie non siano dove dovrebbero essere.
“Abbiamo simulato la crocifissione con croci di forma diversa, di diversi tipi di legno e con posizioni differenti del corpo, per esempio con le braccia orizzontali e parallele al terreno, fino a verticali sulla testa”, e secondo questo esperimento le macchie il sangue del torace, degli avambracci sarebbero confermate, mentre quelle dei polsi e della regione lombare “non trovano giustificazione con nessuna posizione del corpo, né sulla croce, né nel sepolcro”. Ma come avrebbero fatto “i falsari della Sindone” a riprodurre macchie false tra quelle vere e per quale motivo non viene spiegato affatto!
Gesù il Nazzareno, accusato di aver bestemmiato, di essersi proclamato Re, fu arrestato e, il giorno dopo, condotto davanti a Pilato, per il processo.
La legge dei romani diceva che nessun innocente poteva essere condannato alla croce, nessuno di cui non si fosse accertata la colpa, ovviamente.
Nel rispetto di questa legge -forse- Pilato tentò di non mandare a morte Gesù, perché, per ben tre volte, dopo averlo interrogato, lo aveva dichiarato senza colpa e sembrava volesse scagionarlo dalle accuse.
Il popolo, però, aveva ormai deciso di condannarlo e chiedeva di giustiziarlo.
Pilato, allora fece flagellare Gesù, ben sapendo che questa tortura implicava la “non messa a morte” -sempre secondo la loro legge- in quanto era riservata a coloro che avevano commesso delitti non gravi.
La flagellazione veniva inferta con un’arma terrificante, detta flagrum/flagellum, ossia con un bastone di legno con strisce di cuoio ad una estremità. Ad ognuna di quelle strisce, era legato un piccolo manubrio con punte acuminate di piombo.
I colpi delle frustate, durante la flagellazione, procuravano lacerazioni della pelle, ma anche dei muscoli sottostanti.
Ed ecco come si presentava l’uomo al cospetto di Pilato: ormai il suo corpo era sfigurato, da ben 120 colpi, mentre i soldati, per beffeggiarlo, avevano intrecciato una corona di rami di acacia, che hanno delle spine in grappoli (tanto flessibili, quanto pungenti), e gliela avevano posta sulla testa.
Le spine gli trapassarono il cuoio capelluto e la fronte; i capelli di Gesù si inzupparono di sangue nel giro di pochi attimi.
Poi, fu caricato del patibolo, il legno orizzontale della croce, che gli fu legato sulle spalle a braccia tese, mentre altre funi gli bloccavano le caviglie, unendolo alla stessa sorte degli altri condannati a morte -quel giorno due- per prevenire ogni ribellione o tentativo di fuga.
Così, Gesù cominciò il cammino verso il Golgota. Sotto il peso del patibolo, le forze lo abbandonavano, dunque cadeva, con la faccia e le ginocchia in terra, sopra i sassi della strada che traversava, senza neanche potersi riparare il viso con le mani.
Al momento della crocifissione, due grossi chiodi, sotto i colpi spietati dei soldati, gli bucarono i polsi, fissandolo al legno del patibolo. In quello stato -appeso per i polsi- lo tirarono su, con una carrucola, per issarlo sul legno verticale della croce, già piantato in terra.
In quella posizione un uomo muore dopo 6 minuti. I polmoni, infatti, si riempiono di anidride carbonica, perché non si riesce più ad espirare. Ma questo non fu concesso a Gesù (né ad altri appesi alla croce), poiché subito un altro chiodo gli trapassò i piedi e su quello doveva far forza per risollevarsi e respirare, respirare ancora, nelle successive tre ore della sua agonia.
Ad un certo punto, i soldati vollero controllare se gli uomini crocifissi fossero ancora vivi, in tal caso, gli avrebbero spezzato le gambe, perché non potessero più farvi perno per respirare ancora. Così fecero ai due ladroni, ma come dice il Vangelo: “Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe al primo e poi all’altro che era stato crocifisso insieme con lui. Venuti però da Gesù e vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua”.
In effetti, si trattava di sangue e siero, conseguenti ad un infarto.
Tutto questo racconto, serve a dare un’idea delle ferite riportate da Cristo e lasciate sul lenzuolo che lo avvolse, dopo la morte: la Sindone.
Ed ecco la risposta della professoressa Emanuela Marinelli, nota sindonologa, in merito alle affermazioni di questi giorni.
“Di scientifico non c’è nulla. Ma le sembra un criterio scientifico prendere un manichino, di quelli che si usano per i vestiti delle vetrine dei negozi, e con una spugna imbevuta di sangue artificiale, fissata su un pezzo di legno, premere sul lato destro del fantoccio, per vedere dove cadono i rivoli di sangue? Questa roba non ha il rigore di altre indagini, come quelle realizzate, ormai quarant’anni fa, su cadaveri di uomini morti per emopericardio (come presumibilmente Gesù), posizionati in verticale e punti con un bisturi fra la quinta e la sesta costala, come fece la lancia del soldato romano”.
La professoressa Marinelli è la prima persona a cui abbiamo pensato, volendo avere e riportare l’opinione di una vera esperta del settore e di una devota della Sindone.
Lei vide l’immagine del volto di Cristo sulla Sindone, nel 1975. Pensava fosse una litografia, ma quando scoprì che, in realtà, si trattava della testimonianza della morte e resurrezione di Cristo, ne rimase talmente affascinata da dirigere tutta la sua vita alla ricerca delle prove che potessero raccontare al mondo quella Verità.
Per questo ha partecipato agli esperimenti più importati eseguiti sul sacro lino, ha letto e raccolto 900 libri sul tema, più tantissimi articoli scientifici, mentre ha scritto ben 18 libri e condotto circa 3.000 conferenze, per parlare a tutti della Sindone e dei progressi della ricerca su di essa.
Nell’audio in basso, riportiamo una sua esaustiva dichiarazione, pubblicata da Vatican News.
La professoressa Marinelli dice ancora: “Basta pagare e le ricerche si fanno. E si trova pure chi te le pubblica. E’ innegabile che dietro ad alcune di esse si nascondono gruppi che vogliono far credere che la Sindone sia un falso storico. Un esempio per tutti: esiste un bel documentario che si chiama “La notte della Sindone”. Bene, questo documentario non è stato mai trasmesso dalla Rai, perché contiene un’affermazione che forse a qualcuno non piace.
E questa affermazione è rappresentata da una lettera, su carta intestata della Curia di Torino, che il Cardinale Anastasio Ballestrero, all’epoca custode della Sindone, inviò al sul consulente scientifico, l’ingegner Luigi Gonella, con la quale sosteneva con decisione che nella faccenda della datazione del carbonio 14 (poi confutata da diverse ricerche successive), c’era stato lo zampino della massoneria, che voleva a tutti i costi dimostrare che la Sindone fosse di epoca medievale”.
A chiunque non avesse chiaro il carattere ostile, verso qualunque forma di sacralità cristiana, di coloro che faziosamente, e a seconda della stagione, tirano fuori arbitrarie argomentazioni sul segreto custodito dalla Sindone, sono per impressionare i deboli nella fede, auguriamo che possa presto vedere quella reliquia con gli occhi della professoressa Marinelli, che così ama definirla:
“Guardare la Sindone è come leggere il quinto Vangelo. Si ha la sensazione di affacciarsi sulla soglia del Mistero della risurrezione di Cristo. La Sindone è l’icona della Misericordia di Dio, che dona suo Figlio, l’Agnello, per la salvezza dell’umanità. Quel Corpo martoriato è la fotografia dell’amore donato, del peccato espiato, della salvezza compiuta. Quel volto tumefatto, ma sereno dopo la barbara flagellazione e la crocifissione, garantisce la dolcezza del perdono ed esprime profonda e divina maestà”.
Antonella Sanicanti
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