Dovremmo conoscere più a fondo la sindrome di Down, che, in molti Paesi del nord Europa, è ritenuta un serio e plausibile motivo per abortire.
Il professor John Langdon Down, a metà del XIX secolo, fu il primo a parlare di questa sindrome, che da lui, appunto, prese il nome, ma era giunto all’errata, quanto discriminante, conclusione che fosse dovuta a fenomeni razziali o a genitori alcolisti o affetti da qualche patologia.
Fu, invece, il dottor Jérôme Lejeune (oggi Servo di Dio), quasi un secolo dopo, a spiegare che “Le malattie dell’intelligenza sono legate all’intasamento delle sinapsi che diminuisce la velocità, il rendimento, e fa sì che alcuni circuiti non terminino il lavoro prima che altri si mettano in moto, trasmettendo così un’informazione incompleta; questa viene trasmessa ad un altro circuito dove viene elaborata in modo ancora più incompleto e così, di incompletezza in incompletezza, si arriva alla scomparsa totale del messaggio nervoso”.
Le cause della sindrome di Down (Trisomia 21), sono, dunque, determinate dall’anomala esistenza di un quarantasettesimo cromosoma (identico a quelli del ventunesimo paio) nel DNA.
Oggi, sappiamo che nel mondo nasce un bambino con la sindrome di Down ogni 1000-1100, come raccontano i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. In Italia, ne nasce uno ogni 1200 bambini.
Spiegano gli esperti che “la maggior parte delle diagnosi avviene in epoca prenatale. Alcuni parametri ecografici (come la translucenza nucale) permettono, già nei primi mesi di gravidanza, di sospettare la presenza della sindrome.
Questa può poi essere confermata con tecniche quali la villocentesi o l’amniocentesi, che permettono di ottenere la mappa dei cromosomi del feto (cariotipo)”.
La sindrome di Down porta con se un ritardo cognitivo (a diversi livelli, da soggetto in soggetto), specie della memoria e del linguaggio, oltre ad un’espressione corporea riconoscibilissima.
Oggi, ci sono molte attività che preparano la persona Down a stare in società e a vivere in autonomia, dunque l’accanimento all’aborto è del tutto ingiustificato.
Lo stesso dottor Jérôme Lejeune, quando si rese conto che la sua scoperta veniva usata come pretesco per impedire ad alcuni bambini di venire al mondo, diede vita ad una serie di iniziative pro life che, per quanto divennero pressanti per gli abortisti dell’epoca, gli negarono il premio Nobel, che sarebbe, senz’altro, stato da lui meritatissimo.
Antonella Sanicanti