Nel 1989 il quotidiano cristiano ‘L’Avvenire’ pubblicava in rapida successione due annunci entrambi riguardanti un bambino di 5 mesi che rischiava di morire se non fosse stato salvato da qualcuno amorevole e pronto a sostenere le spese mediche necessarie, Il suo problema era una grave e rarissima malattia, la sindrome di Lesch-Nyhan (LND), di origine genetica e senza studi che ne comprendano le origini e quindi permettano di curarne i sintomi (si tratta di casi talmente rari da non meritare, secondo la medicina odierna, degli investimenti).
Dopo questi annunci non si seppe più nulla del bambino ne della possibile adozione, questo fino a qualche giorno fa quando lo stesso quotidiano è andato ad indagare scoprendo che adesso Michele (questo il nome scelto dalla famiglia adottiva) ha 25 anni e che, nonostante non possa essere guarito, conduce una vita piena e soddisfacente grazie all’amore di familiari ed amici, letteralmente innamorati di quel ragazzo incapace di controllare muscoli e lingua.
Di lui, della sua infanzia e del suo caratteraccio ci ha parlato il padre: la sua infanzia è stata dura, ha cominciato a parlare solo a 4 anni “Grazie ai film di Terence Hill e Bud Spencer”, sin da piccolo è stato costretto alle punture di insulina, a ricevere un operazione al rene a soli 9 anni, poi è sopraggiunta la tetra paresi spastica. Per un bambino con simili problematiche dovrebbe essere un calvario la vita in terra ed invece non è stato così, l’amore dei genitori adottivi e quello dei compagni di classe lo hanno aiutato a superare le difficoltà fisiche e ad essere felice.
Purtroppo durante la notte dev’essere legato ai polsi ed alle caviglie per evitare che si faccia del male, non volontariamente ma a causa della malattia che non gli permette di controllare i muscoli del corpo, i soggetti affetti da LND, infatti, tendono a prendersi a schiaffi sul capo ed anche a mordersi. Se questo non bastasse a rendere difficile la vita di Michele, si unisce anche l’impossibilità di frenare la lingua: “Non hanno nemmeno freni inibitori nel parlare, come quando chiamò “ciccione” un professore grasso il primo giorno di scuola o disse ad alta voce il fatto suo a un conferenziere in Aula Magna, con grande sollievo dei compagni che non osavano fare altrettanto”, dice il padre che aggiunge ridendo: “In casa ci siamo tutti abituati a una grande franchezza”.
Presentata in questo modo la decisione di quella coppia sembra un suicidio, ma è quanto di più cristiano possa esserci: tutto è cominciato l’1 ottobre del 1989 quando i due lessero l’annuncio, accanto a loro c’era il piccolo Marco di 8 anni che ingenuamente disse: ”Perché non lo prendiamo noi?”. Quella frase motivò la coppia, il padre si andò ad informare con il medico di fiducia che, sentita la malattia da cui era affetto Michele, si mise le mani tra i capelli e disse: “Le consiglio di lasciar perdere”. L’uomo, sconfortato da quella notizia, ma voglioso di accogliere un bambino bisognoso in casa sua andò a pensare e pregare in Chiesa, durante l’omelia il parroco citò un passo del Vangelo in cui Gesù diceva: “Quello che farete al più piccolo di voi lo avrete fatto a me”.
L’uomo lo interpretò come un segno, ormai era chiaro che Michele avrebbe fatto parte della sua famiglia. Mai decisione fu più felice, Michele è il più amato da tutta la famiglia, anche e sopratutto per il suo carattere coriaceo, ed ora, a 25 anni con un diploma scientifico ottenuto con 100 e lode, passa la sua esistenza a scrivere libri e devolvere proventi alle associazioni che si occupano dei malati di LND. Lo scorso anno poi ha adottato una bambina Africana (Giulien) un modo per crescere e ritornare in parte l’amore che gli è stato riversato sin dai suoi primi giorni.