Ci sono momenti in cui ci viene da pensare che nessuno nelle nostre condizioni sarebbe in grado di accettare l’idea di un Dio amorevole, sempre consapevole di quello che ci capita, e pertanto volontariamente intento a farci passare gli ultimi anni della nostra vita tra atroci sofferenze. Il dubbio che Dio esista o che sia davvero infinitamente misericordioso, in questi momenti ci assale ed attanaglia la nostra mente. Ma poi ci sono persone come Chiara Maria, ragazza morta a 25 anni per un tumore alla pelle, la cui esperienza di malattia si congiunge a un amore sconfinato nei confronti del Signore e ad una fede incrollabile.
Quando veniamo a contatto, o semplicemente a conoscenza, di una simile storia non possiamo fare altro che chinarci innanzi ad una persona in cui la debolezza fisica ed il cui dolore non hanno intaccato i capi saldi della sua fede. A portare la meravigliosa testimonianza di questa giovane è un suo carissimo amico, il quale, non appena Chiara Maria è morta, ha trovato le forze per scrivere una biografia della sua vita che ne raccontasse la forza d’animo con la quale ha affrontato prima la malattia ed infine la morte. Nel libro, intitolato ‘Credere per vedere’, l’autore Massimo Giglio fa innanzitutto comprendere in che modo la sua amica avesse accettato la volontà di Dio.
Per farlo non usa parole sue, ma quelle che Chiara Maria ha utilizzato per raccontare, attraverso il commento delle letture pasquali, in che modo a suo avviso si stava manifestando nella sua vita la volontà di Dio. L’occasione per testimoniare la sua fede le era stata data dal parroco della comunità neocatecumenale che la ragazza frequentava sin da giovanissima età per farla sentire, sebbene da un letto d’ospedale, all’interno della celebrazione pasquale della parrocchia. Come chiunque desideri un contatto sincero con Dio, anche Chiara Maria nelle letture ha trovato ciò che cercava, la forza per andare incontro al suo fato:
“Di questa lettura mi colpisce la misericordia con la quale il Signore decide di purificare, benedire, donare un cuore di carne, donare il Suo Spirito, al popolo d’Israele, nonostante esso sia un popolo di peccatori. In fondo, il popolo d’Israele siamo noi, che non riusciamo mai a vedere tutti i doni che Dio ci manda, e dubitiamo costantemente del Suo immenso amore. In realtà, in questo momento specifico, ammetto di aver dubitato fortemente dell’amore di Dio per me, perché pensavo di non meritare questa malattia, di non meritare questa famiglia così disastrata, e tante altre cose. Poi, però, mi torna alla mente che ‘le vostre vie non sono le mie vie’, e perciò penso che il perché di tutto questo lo capirò, e sicuramente Dio non vuole fregarmi, ma ha un piano ‘molto particolare’ per me”.
Ciò che emerge dagli scritti di questa coraggiosa ragazza è che non temeva la morte, ma di morire lontana da Dio, di non aver compreso quello che le aveva chiesto di realizzare durante la sua vita terrena: “Mi colpisce questa lettura perché parla della morte. Quando ti ammali di una malattia seria, è inevitabile che il pensiero vada anche alla morte. Una delle mie più grandi paure, non è tanto quella di morire, ma è quella di morire lontana da Cristo, lontana dalla grazia e dalla volontà di Dio. In questa lettera, San Paolo invece, ci ricorda che se siamo battezzati in Cristo, e se crediamo vero che Egli è salito sulla croce per i nostri peccati, è morto ed è risorto per noi, allora anche non dobbiamo avere paura di morire in Cristo, perché ‘chi è morto è liberato dal peccato’”.
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