UN’INFERMIERA CONTRO L’EUTANASIA
Spesso commettiamo delle azioni non buone, perché non riusciamo a percepire il messaggio: non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te.
E’ ciò che è capitato ad un’infermiera canadese che, in una casa di cura, aveva cominciato a praticare la buona morte.
Era tutto legale per il Sistema Sanitario del Paese e per quell’ambiente, l’eutanasia veniva richiesta dai familiari dei malati o dai malati stessi.
L’infermiera Kristina Hodgetts non era mai stata completamente indifferente alla sofferenza dei malati che, imbottiti di morfina, spesso venivano lasciati a morite di fame o sete in attesa della fine. Anche se quella era la prassi, ossia alleviare il dolore, smettendo nel contempo di mantenerli in vita, lei notava che alcuni, anche se inermi, si aggrappavano alla vita fin all’ultimo respiro, impiegando molti giorni a lasciarci, attraversando sofferenze e stenti.
Kristina un giorno si è opposta agli ordini e ha smesso di uccidere. Per questo è stata licenziata dalla struttura e adesso conduce una vita completamente diversa.
L’evento che le ha fatto vedere la realtà delle cose nella sua interezza e grazie al quale si è resa conto dell’importanza di cercare di sopravvivere, anche in situazioni disperate, è accaduto direttamente a lei.
Fu colpita da un ictus emorragico che le provocò undici giorni di coma, facendola trovare, pertanto, senza difese, nelle stesse condizioni dei suoi molti pazienti.
A differenza dei familiari dei malati a cui aveva somministrato l’eutanasia però, suo marito volle tentare di tenerla in vita e lei si svegliò.
Ancora adesso non ha ripreso totalmente le proprie funzionalità corporee, ma si reca dovunque venga convocata, per testimoniare la sua storia di speranza.
Si è unita al gruppo Euthanasia Prevention Coalition, divenendone vicepresidente.
E’ venuta anche in Italia, tramite l’associazione Pro Vita Onlus, con l’intenzione di mettere in guardia coloro che vorrebbero legalizzare la buona morte, avvertendo che, come lei ha avuto modo di sperimentare, togliere la vita potrebbe diventare una routine, ritenendo, in buona fede, ma erroneamente, di ridurre il dolore e agevolare un processo naturale di dipartita.
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