Di Auschwitz si conoscono molti dei particolari più raccapriccianti, ma in quel luogo in cui l’umanità ha dimenticato la misericordia ci sono state persone che hanno messo a rischio la propria vita pur di sottrarre ad un terribile destino i malcapitati ebrei. Uno di questi angeli è sicuramente Stanisława Leszczyńska, ostetrica polacca che ha salvato durante la sua permanenza nel campo di concentramento circa 3000 bambini ebrei.
Nata nel 1896 a Lodz (Polonia), Stanislawa si è sposata nel 1916 con Bronisław Leszczyński, il tipografo della città. Quattro anni più tardi la coppia si trasferì a Varsavia dove la donna cominciò gli studi per diventare un ostetrica e dove ebbero 4 figli (Silvia, Bronisław, Stanisław ed Henryk). Quando cominciò la seconda guerra mondiale la famiglia Leszczyński si oppose alla dittatura nazista cercando di salvare le famiglie ebree dalla cattura.
Scoperti dalle truppe della Gestapo, il marito ed i tre figli maschi furono mandati a Mathausen, mentre lei e la figlia Silvia finirono ad Auschwitz. Prima di essere deportata Stanislawa era riuscita a portare con se i documenti che attestavano la sua qualifica di ostetrica ed una volta nel campo si fece coraggio e chiese di poter svolgere il suo lavoro al temibile Dottor Mengele.
La donna non poteva sopportare quanto stava capitando, in un diario annotò queste parole: “Fino al maggio 1943, i bambini nati nel campo furono uccisi crudelmente: venivano annegati in un barile pieno d’acqua (…). Dopo ogni nascita (…) veniva spruzzata violentemente dell’acqua, a volte per molto tempo. In seguito, la madre vedeva il corpo di suo figlio gettato a terra di fronte al dormitorio, rosicchiato dai topi”.
I medici le dissero che doveva trattare i neonati come feti abortiti, ma lei si oppose dicendo che nessun bambino meritava la morte. Durante la sua permanenza ad Auschwitz assistette a 3000 parti e nessuno tra i bambini e le partorienti morì durante il parto. Stanislawa racconta che le condizioni del dormitorio erano proibitive: i bambini erano costretti a nascere per terra dentro un camino, c’era un terribile fetore, malattie ed ogni tipo di parassita.
Ciò nonostante i bambini fatti partorire da lei erano sani e robusti come volessero opporsi al male del luogo celebrando la vita. Ma nonostante i suoi sforzi molti dei bambini nati in quel periodo non riuscirono a sopravvivere per le dure condizioni di vita a cui erano costretti e questo l’ha tormentata a lungo: “Tra tutti i ricordi tremendi, c’è un pensiero che continua ad assalire la mia coscienza: tutti i bambini sono nati vivi. Il loro obiettivo era quello di vivere. Di loro, nel campo, ne sono sopravvissuti solo una trentina. Diverse centinaia di bambini furono portati a Nakło per privare loro della nazionalità, oltre 1.500 furono annegati da Klara e Pfani, e più di 1.000 bambini sono morti di fame e di freddo”.
Di lei si ricordano tutte le donne ed i bambini sopravvissuti all’olocausto, la chiamavano ‘l’angelo della bontà’ o ‘La madre dal pigiama a righe’. Quando non era impegnata ad assistere le donne partorienti cantava, scherzava e battezzava i bambini. Uno dei sopravvissuti racconta che un giorno le arrivò una busta con del pane e lei, dopo averlo tagliato a fettine piccolissime, lo mise in un cartone e lo distribuì come un ostia.
In molti sono concordi nell’affermare che fu attraverso lei che nel braccio della morte di Auschwitz una scintilla divina illumino le tristi esistenze di quelle persone e che per merito suo riuscirono a trovare un barlume di speranza.
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