L’eternità dell’anima è infinita come Dio
Il cristianesimo si fonda su valori atemporali, eterni, immutabili e non corre dietro alle mode e al tempo che cambia. Se è vero che il mondo non cessa mai di girare, e l’essere umano muta ogni istante anche senza rendersene conto, è anche vero che ciò che resta uguale a sé stesso ha un primato assiologico su ciò che varia. Per esempio, il corpo umano non cessa di crescere, di svilupparsi per poi decrescere e lentamente spegnersi. L’anima no, resta sempre la stessa, sia nel tempo che nell’eternità. E l’anima è superiore al corpo. Come la grazia alla natura, il Creatore al creato, e via dicendo. La dimensione dell’eternità è anteriore e superiore al tempo: il tempo, come tutte le cose materiali, passa e finisce; l’eternità è infinita come Dio.
Ogni epoca ha creduto di essere la migliore in assoluto e già Leopardi nella prima metà del XIX secolo criticava i progressisti del suo tempo (vedi La Ginestra, e le sue mille riflessioni presenti nello Zibaldone). Il filosofo Marcello Veneziani ha appena pubblicato un bel libro (Imperdonabili, Marsilio, 2017) in cui mostra bene proprio questo: i pensatori più profondi della storia, da Dante ai nostri giorni, furono sempre critici verso il loro tempo, restarono in qualche modo inattuali, non-contemporanei, e dunque profetici.
In questo quadro di critica radicale verso l’ideologia della contemporaneità, nuova versione del mito illuminista del Progresso, si colloca, seppur come fenomeno di nicchia, il cosiddetto “survivalisme”, da tradursi in italiano come “filosofia della sopravvivenza”. E’ la filosofia di vita di coloro che vedono l’epoca contemporanea come decadenza e declino, anzitutto per la crisi dei valori che stiamo attraversando.
Già gli hippy e le spiritualità alternative degli anni ’60 e ’70 criticavano scientismo e industrialismo, consumismo sfrenato e occidentalizzazione del mondo (il Mc World). Però a base di concetti, tutt’altro che apodittici, come il ritorno al passato, il mito del buon selvaggio di Rousseau, l’ecologismo, il nudismo, il vegetarianesimo e altre stranezze. Ora però è accaduto che queste tendenze, collocabili nel mondo della New Age e delle derive settarie della modernità, abbiano aperto delle strade di riflessione da non scartare, e anzi da valutare con attenzione.
Il quotidiano laicista Repubblica il 13 ottobre 2016 ha fatto una sorta di recensione-stroncatura, sulle comunità neo-rurali in Germania e in varie zone d’Europa, le quali avrebbero la volontà di ripartire dalla natura per ricreare un tessuto di famiglie sane ed autonome dal sistema oppressivo della moderna democrazia, dove sopravvivere, culturalmente e spiritualmente, al predominio del Pensiero Unico. Esistono una serie di fenomeni simili che lentamente si stanno sviluppando un po’ ovunque e che hanno una matrice culturale comune, fondata sul rifiuto della vita ossessiva della metropoli, sulla riscoperta della natura e della vita agricola, unita ad una critica di fondo al materialismo e al consumismo dei tempi attuali.
In verità, e praticamente fin dai primordi del cristianesimo, monaci ed eremiti, ma anche laici zelanti e contemplativi (come san Nicolao della Flue, patrono della Svizzera), hanno fuggito il mondo e la società, per creare degli ambienti più consoni alla spiritualità e all’ascesi cristiana.
Oggi che il cattolicesimo appare a dir poco infiacchito e imborghesito è bene riscoprire sia la vita più serena e silenziosa della campagna, della montagna e del piccolo borgo, sia soprattutto la teologia della fuga mundi, che da sempre ha accompagnato le vere riforme e le necessarie restaurazioni della Chiesa, con la creazione di oasi e monasteri in luoghi a dir poco impervi. Un esempio significativo di questa teologia lo abbiamo in un grande autore italiano, Francesco Petrarca che scrisse, a metà del Trecento, il De vita solitaria, un ottimo trattatello che elogia i contemplativi, come il fratello Gherardo, certosino in Provenza.
Ovviamente, non intendiamo dire che chi vive in grandi città, come noi stessi, abbia l’obbligo morale di trasferirsi chissà dove per condurre una vita meno frenetica, più agreste e poetica. Ma insomma, tutti quanti, a nostro giudizio, dovremmo iniziare un santo digiuno che ci liberi dalle mille schiavitù odierne, come l’ossessiva tecnologia (con la TV in ogni camera), il consumismo obbligatorio, lo spreco in tutte le sue forme e l’accumulo inetto di cose materiali. Tutto qui… e davvero non è poco!
In lingua italiana, e al di là delle sterili mode tutt’altro che anticonformiste del cibo vegano o del bio, alcune case editrici hanno proposto vari testi, che fanno della sopravvivenza, economica e culturale, al mondo contemporaneo il nucleo tematico principale. Si critica la modernità e i suoi miti, si riscopre, ove più o meno, la spiritualità, la vita semplice di un tempo, le tante gioie collegate con la liberazione dal confort, dal lusso e dai vizi.
Ad esempio, il testo dello svizzero Piero San Giorgio (Sopravvivere al collasso economico, Morphena editrice, 2014) analizza le difficoltà del presente (problemi ecologici, ambientali, antropologici, relativi all’educazione, etc.) e ne vede la soluzione, nella creazione di BAD, ovvero “basi autonome durevoli”. Cioè case o tenute di campagna provviste di cibi da rinnovare periodicamente, e di terreni coltivabili, da intendersi come piccole cittadelle autarchiche e autosufficienti. La cosa interessante è che l’autore, che ha venduto oltre 100.000 copie del suo libro (tradotto in molte lingue) e che è stato un business man e un esperto di marketing, ha egli stesso costituito una casa-rifugio nella sua amata Svizzera.
Ancora più interessante è la riproposizione del testo enciclopedico di John Seymour (Il grande libro dell’Autosufficienza, Arianna, 2016), pubblicato originariamente nel 1976 e costantemente rivisto e aggiornato dall’autore, deceduto nella sua fattoria in Galles, nel 2004. Quest’opera fondamentale, più che discettare sulle criticità della temperie odierna, offre soluzioni concrete a chi desidera “un modo di vivere più semplice e più appagante, quello che ci vede in armonia con la natura, non contro di essa” (p. 8). Si parla di casa, di alimentazione (con consigli su come fare il pane, il vino, la birra, etc. etc.), di artigianato, e di tutto quel che occorre, perfino nelle nostre inquinate metropoli, per “diventare un sostenitore dell’autosufficienza”.
I difensori della natura e gli ecologisti integrali, ovvero non solo in parte e di facciata, sono oggi proprio gli autori tradizionalisti e identitari, cattolici o almeno umanisti nel senso più elevato della parola, i quali vogliono prima di tutto preservare e tutelare, non il panda o i ghiacciai, ma l’uomo, la sua storia, la sua civiltà e l’intera umanità, dall’assalto moderno e contro-natura delle nuove ideologie del male.
Tutti i veri cattolici sono chiamati ad interessarsi a queste dinamiche per valutare se e in che misura il falso mito del progresso e la discutibile ideologia progressista abbiano contaminato il loro cuore, la purezza della loro fede e lo slancio da rinnovare quotidianamente verso l’al di là, la vera patria e il solo compimento della nostra umanità.
Antonio Fiori