L’appello della scrittrice coglie uno dei punti nevralgici del dolore che oggi più che mai, in tempo di pandemia, la società vive fin dalle sue radici, che talvolta sembrano malate.
Manca la dimensione del trascendente, e questo lo si vede fin dalla conformazione estetica, purtroppo, delle chiese moderne, troppo moderne, che talvolta vediamo nelle nostre città o nei nostri paesi. Edifici che, purtroppo, sembrano avere smarrito, proprio come la società in cui camminano, ogni senso del sacro.
“Servono chiese belle per nutrire la fede“, è quindi l’appello lanciato sul Corsera dalla scrittrice, nota per il best-seller “Va dove ti porta il cuore”. La Tamaro ha infatti offerto una riflessione sugli spazi liturgici intravedendo l’attuale condizione della nostra società. Purtroppo, il giudizio, è in molti casi impietoso.
“Siamo tutti sempre più sfiduciati e tristi e la tristezza del cuore, perché non dirlo, è la via maestra per spalancare la porta ad ogni tipo di malattia“, spiega la scrittrice. “Siamo schiacciati dal nostro destino, non riusciamo a vedere nessuna luce di speranza all’orizzonte”.
Tamaro ha spiegato chiaramente qual è il peso che opprime più dio qualunque altro il peso della vita di oggi: la “mancanza di una dimensione trascendente“. “Siamo figli del Caso e schiavi del Tempo, e questa condizione ci costringe ad assumere sulle nostre spalle tutto il peso del mondo. Siamo noi responsabili di ogni cosa, tutto è nelle nostre mani, e non potrebbe essere diversamente dato che la nostra esistenza, così come la vediamo, non è altro che un susseguirsi di casuali colpi di fortuna”.
La Tamaro ha spiegato che in questi anni in cui ha viaggiato molto si è anche tristemente imbattuta in veri e propri obbrobri, chiese orribili edificate nel dopoguerra, pensando che si trattasse di edifici moderni. “Mi è capitato di domandarmi: sarebbe mai possibile che qualcuno si convertisse qui dentro o, per lo meno, che venisse sfiorato dall’idea che, dietro il mondo materiale, ne esista un altro la cui concretezza si manifesta nel mistero della bellezza?”, ha chiesto la scrittrice.
Aggiungendo, ancora: “Chi ha deciso, progettato e finanziato questi abomini architettonici si è mai domandato se avesse voluto sposarsi, assistere a un battesimo o celebrare il funerale di una persona cara in un luogo del genere? L’orrore che provo non è però un orrore intellettuale, ma un orrore che ferisce direttamente il cuore perché il brutto, il disarmonico e lo sgradevole sono la negazione stessa del trascendente”.
Negli anni infatti, non si sa per quale ragione per precisata, forse un eccesso di voluttà modernistica, forse incapacità o incultura, si è cominciato a credere che, visto che la società era pervasa del brutto, anche le chiese dovessero rifletterlo. Di conseguenza, si è passati da splendide e maestose cattedrali capaci di riflettere l’essenza del Signore a tetri e lugubri luoghi del tutto simili a casermoni o fabbriche.
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“Se si vive circondati dalla bruttezza ovunque, per quale ragione si deve trovare il brutto nel luogo che, per antonomasia, dovrebbe parlarci della bellezza?”, chiede Tamaro. La realtà è infatti che la Chiesa è chiamata a testimoniare l’opera del Signore, l’invisibile che si manifesta qui ed ora sulla terra con la bellezza visibile. Solo così sarà possibile alzare lo sguardo per guardare oltre, là dove la volontà di Dio ci chiama a raccolta per parlarci delle nostre stesse vite che sono e di quelle che saranno.
La chiesa è infatti un edificio che per sua natura deve parlare con chi vi entra, non può restare muta. Deve offrire una finestra sul cielo, uno spazio in cui conoscere uno spicchio di eterno, assaporare il canto celestiale degli angeli che un giorno ci accoglieranno nei cieli. Mentre invece, se ogni epoca ha avuto la sua architettura, oggi purtroppo viviamo l’epoca del vuoto, sterile e freddo realismo post-moderno, condito da pressappochismo narcisista e ignorante.
“La solitudine in cui ci troviamo a vivere è la solitudine dell’abbandono del sacro perché, paradossalmente, la fede nell’Incarnazione non è più in grado di accompagnarci in una dimensione che ci apra all’interrogazione e ci spinga a trovare delle risposte all’inquietudine che, ontologicamente, ci appartiene”, conclude quindi la sua riflessione la Tamaro.
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“Frastornati dalle immagini, sballottati in un mondo che ignora le ragioni profonde dell’esistere, tanto più in un momento grave come questo, com’è possibile riconquistare la stabilità profonda che ci giunge dalla contemplazione del mistero?”. Tutto ciò perché “la radice del sacro, per consentire di crescere in questa dimensione, ha una necessità estrema di bellezza, perché solo la bellezza, con le sue profonde vibrazioni, fa risuonare in noi la parte più profonda del mistero.
Senza questa dimensione, il cristianesimo si trasforma in uno sforzo intellettuale di buona volontà e partorisce un mondo che, anziché essere segnato dalla gioia liberante della fede, propaga intorno a sé per lo più un asfittico moralismo. Moralismo che, come ci ha ricordato di recente papa Francesco, è in qualche modo la tomba della vera fede“.
Giovanni Bernardi
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