A dir poco vergognoso quello che è accaduto per carpire i segreti della confessione una cronista senza nessuna dignità e priva di ogni scrupolo e rispetto umano nei confronti di qualcosa di sacro e intoccabile come il sacramento della confessione. Si è finta penitente per rubare con l’inganno le parole dette dai sacerdoti nel confessionale certamente non è la prima volta, ma il gesto è inqualificabile come condanna in maniera chiara è inequivocabile il cardinale Carlo Caffarra, presidente dell’episcopato regionale e arcivescovo di Bologna dopo la pubblicazione di quattro puntate sul «Qn» (Quotidiano nazionale, che comprende tre diffuse testate locali come «Resto del Carlino» di Bologna, «Il Giorno» di Milano e «La Nazione» di Firenze) di una sedicente inchiesta sulla confessione, realizzata da una cronista che si è finta penitente trascrivendo le risposte fornite dai confessori a spinose questioni (la madre lesbica che chiede il battesimo della figlia, la coppia di donne, la divorziata…).
Una cosa da condannare severamente visto che le dichiarazioni dei sacerdoti sono state estorte con l’inganno«Nella mia responsabilità di Vescovo nella Chiesa cattolica e come Presidente della Conferenza Episcopale Emilia-Romagna, anche a nome dei miei confratelli Vescovi della regione – scrive Caffarra nella nota diffusa dalla Curia di Bologna – sento il preciso dovere di esprimere la più forte protesta per la pubblicazione a puntate, su di un diffuso quotidiano, di servizi giornalistici sulla Confessione ottenuti traendo deliberatamente in inganno il confessore e violando con ciò la sacralità del Sacramento, che come primo requisito richiede la sincerità della contrizione del penitente».
La gravità dell’accaduto è sottolineata dall’arcivescovo di Bologna che mostra «sconcerto per l’accaduto» mentre «con l’animo ferito da un profondo dolore» mette in chiaro tre punti. Anzitutto «tali servizi configurano oggettivamente una grave offesa alla verità di un Sacramento della fede cristiana, la Confessione». Inoltre «tali servizi sono anche una grave mancanza di rispetto verso i credenti, che vi ricorrono come a un bene tra i più preziosi perché dischiude loro i doni della Misericordia di Dio; e verso i sacerdoti confessori in quanto, esponendoli al dubbio di un possibile inganno, ne inficiano la libertà del giudizio, che è fondata sul rapporto fiduciario col penitente, come tra padre e figlio».
Infine, conclude Caffarra, «quanto sia grave il comportamento suddetto, risulta anche dal fatto che rientra nei delitti più gravi, a norma del motu proprio di Benedetto XVI “Inter graviora delicta” articolo 4, §2 (21 maggio 2010).