Gianluca Firetti ha sperimentato nella sua breve esistenza terrena cosa significhi in vero la vita. Nato nel 1994 a Sospiro da Luciano e Laura è il secondo figlio della coppia. Cresce come tutti i ragazzi della sua età, andando a scuola e alimentando i suoi sogni per il futuro. Giunto al liceo decide di provare seriamente a diventare un calciatore e poco prima di giungere alla maggiore età è convinto che quel percorso possa dargli le soddisfazioni che cerca. Poi, durante una partita avverte un forte dolore alla gamba, pensa si tratti di un trauma dovuto ad un contrasto che a caldo non aveva avvertito, ma questa continua a fargli male anche nei giorni successivi e la famiglia decide di portarlo a fare una risonanza.
La diagnosi è infausta, anzi la peggiore che gli poteva capitare: il dolore è dovuto ad un osteosarcoma, un tumore legato alle ossa. Da quel momento in poi la sua vita cambia, il calcio diventa una chimera e le sue prospettive di vita si abbassano notevolmente. Gli elementi per lasciarsi prendere dallo sconforto ci sono tutti, ma Gianluca vince la depressione e scopre una spiritualità che in pochi hanno il piacere di conoscere durante l’arco di tutta un’esistenza. Questo ragazzo che ha tutte le ragioni per odiare il suo destino e per imprecare contro Dio, comprende che la sua esperienza sulla terra è solo un passaggio verso ad un’altra vita, quella eterna e riesce con la sua serenità a far ottenere la fede anche a chi l’aveva ripudiata da tempo.
Durante la malattia degli amici comuni lo portano a conoscere don Marco D’Agostino. Con il sacerdote Gianluca parla del Signore, ma mentre il parroco si trova in difficoltà sulle parole da usare in una simile circostanza per fargli capire che il disegno divino è imperscrutabile, Gianluca è già conscio di questa verità ed il loro incontro si capovolge fungendo da stimolo alla conversione per il sacerdote: “Preoccupato di che cosa dovevo dirgli, di come presentarmi a lui, dopo che aveva chiesto di vedermi, di quanto fermarmi in casa con lui, sono uscito lavato e purificato dalla sua stessa presenza. Da subito, quella sera, con una fetta di torta e tè, soprattutto dalle sue parole e dal suo sguardo profondo, mi sono sentito subito ‘di casa’”, ricorda don Marco.
Nel ricordare quel ragazzo morto a 21 anni nel 2015, don Marco spiega ai lettori del suo libro dedicato a Gianluca: “Chiedeva a me nient’altro se non di stare, davanti a lui, così come anch’io ero. Senza la preoccupazione del colletto, dell’uomo di Chiesa, del cosa dire, del come dirlo, di quali argomenti affrontare per primi. Senza la corazza di chi si tiene a distanza. Gian è stato capace – settimana per settimana – di aprire sempre di più il rubinetto del suo cuore. Da quel deposito, apparentemente sopito, ha saputo spillare il vino buono, per l’ultima parte del suo banchetto nuziale. Gian ha aperto, anzitutto la porta del suo cuore. E da lì, da quell’entrata particolarmente intensa e ricca, ha permesso a Dio, in primo luogo, ma anche a me e a tanti altri di entrare”. Anche chi non lo conosceva può comprendere la profondità della sua fede da una frase detta poco prima di morire: “In fondo – come ho detto con mio fratello ieri sera – noi siamo fatti per il Cielo. Per sempre. Per l’eternità”.
Luca Scapellato
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