Lo scorso novembre, tra il 12 ed il 14, la Conferenza Episcopale Americana si è incontrata per una seduta dell’Assemblea plenaria che avrebbe dovuto avere come punto focale l’approvazione di nuove norme più stringenti sulle punizioni dei vescovi e dei parroci coinvolti in scandali sessuali. Si sarebbe dovuto trattare, insomma, della messa in pratica delle volontà manifestate dal Santo Padre all’indomani dello scandalo sessuale scoppiato in Pennsylvania lo scorso agosto.
Appare dunque logico che le vittime degli abusi, i loro familiari e gli stessi vescovi siano rimasti sorpresi dal ricevere un veto sulla votazione di tali norme proprio dal Vaticano. Di tale blocco si è lamentato all’epoca dei fatti il cardinale Di Nardo ad apertura dell’Assemblea plenaria dello scorso novembre, spiegando che su insistenza della Santa Sede i vescovi non avrebbero potuto votare le norme, nonostante lo statuto canonico preveda che sul territorio americano la Conferenza Episcopale possa approvare delle norme che non vadano contro i principi quadro della Legge Vaticana.
In seguito a quanto accaduto ci si è chiesti per quale motivo sia stato posto il veto dal Vaticano a tale votazione. La risposta ai dubbi ed alle perplessità dei vescovi è giunta tramite una lettera del cardinale Ouellet, che spiega come il veto sia stato posto solamente per via di tempistiche troppo stringenti sulla valutazione di norme relate ad una questione molto delicata. Pare infatti che le norme da votare – che prevedevano l’istituzione di una commissione di laici per esaminare le denunce e l’introduzione di un nuovo codice di comportamento – siano arrivate a Roma solo l’8 novembre e che 4 giorni erano insufficienti per valutare adeguatamente le criticità presenti in queste proposte.
Nella missiva in questione, pubblicata l’1 gennaio da ‘Associated Press‘ si legge inoltre che il veto non è da considerare un’intromissione nella sfera di competenza della Conferenza Episcopale Americana: “Sebbene sia conscio che la Conferenza episcopale abbia legittima autonomia di discutere ed eventualmente approvare misure attinenti alla giurisdizione della Conferenza, il lavoro della Conferenza dev’essere sempre integrato nella struttura gerarchica e nella legge universale della Chiesa”.
Di Nardo ha risposto a tali affermazioni del cardinale canadese, spiegando che si è trattato di un malinteso e che, avendo la conferenza pieno potere di approvare delle misure, pensava che approvare le norme prima della revisione del Vaticano non consistesse in un tentativo di scavalcare al Santa Sede: “Adesso è chiaro che ci fossero delle aspettative differenti da parte dei vescovi americani e di quelli della Santa sede che hanno causato incomprensioni su queste proposte”, spiega Di Nardo che poi aggiunge: “Dalla nostra prospettiva, il loro compito era quello di revisionare (o bloccare) laddove queste avessero intaccato la loro giurisdizione”, sostenendo di fatto che si sarebbero attesi una revisione solo dopo la votazione delle leggi.
Luca Scapatello
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