Oggi è il 25 aprile, giorno della Liberazione, la memoria andrebbe riportata anche al contributo dei cattolici e della Chiesa contro una guerra che causò dolore e sofferenze.
Nel festeggiare questa giornata, infatti, che dovrebbe essere di unità, spesso si finisce per farle assumere i connotati della divisone, dello scontro e dell’esclusione reciproca.
Cioè di una retorica violenta e militare che andrebbe superata per il bene dell’intero Paese. Per questa ragione, in diverse parti d’Italia già da settimane sono state allestite mostre per riportare alla memoria questa parte importante della storia italiana, quella del contributo cattolico alla resistenza e per la pace durante la Seconda guerra mondiale.
Ad esempio nella Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino è allestita fino al 29 aprile un’esposizione in cui si celebra la memoria di coloro che lottarono per la libertà. A curarla è il Centro Studi Giorgio Catti, che porta cioè il nome di un giovane partigiano cristiano membre di quell’Azione Cattolica presieduta dalla cognata Maria Romana De Gasperi Catti, figlia del grande statista trentino padre della Democrazia Cristiana.
L’intento è quello di riportare alla luce ciò che è conosciuto da pochi, per un’interpretazione sbagliata che viene data alla storia, scritta purtroppo solamente da pochi e spesso di parte, o di parti opposte. Attraverso la lettura dei nomi e dei fatti, tanti italiani cattolici si sono ispirati alle parole delle encicliche papali nel lottare per la libertà, in mezzo a tanto dolore.
In primo piano l’Azione Cattolica, che vide uccisi tra le sue fila 1279 membre e 202 assistenti, con centinaia di medaglie d’ oro al valore di soci e assistenti. Attraverso le biografie dei testimoni e dei protagonisti sarà infatti possibile ritornare alla realtà di quanto accaduto in quegli anni e in quei momenti, e soprattutto di farlo con gli occhi di chi aveva nel cuore le parole dei Pontefici e la Parola di Gesù Cristo.
Purtroppo, infatti, fino a pochi anni fa non si voleva sentire parlare di Resistenza cattolica. Per molte ragioni, prevalentemente legate a interessi di tipo politico, dire che tanti cattolici sono morti durante la resistenza era una sorta di argomento scomodo, un tabù. Quindi non c’erano molte testimonianze delle lotte dei cattolici nelle formazioni dei partigiani, e nemmeno delle fatiche della Chiesa a favore dei perseguitati e per il bene della popolazione.
Ci fu dopo il 1947 una sorta di “memoria grigia” che caratterizzò la seconda guerra mondiale, per via della situazione politica delicata immersa negli anni della Guerra fredda. Evocare con entusiasmo questi fatti avrebbe fatto avvicinare troppo i cattolici da una o dall’altra parte della Cortina di ferro.
Ma in particolare alla retorica di quel fronte antifascista saldamente ancorato alle idee del Partito comunista, di cui tutt’ora se ne vedono purtroppo gli strascichi. Che portano a ideologie contrapposte e a una società fondata sulla divisione. Divide et impera, dicevano i romani. Consapevoli che questo fa sempre ben comodo alle classi dirigenti, di chi sta nelle retrovie e ha in mano il vero potere.
Così i cattolici rappresentarono la loro lotta solo attraverso i singoli atti eroici, rigidamente individuali, o al martirio dei singoli sacerdoti, o militanti dell’Azione cattolica. Nessuno diede per molti anni risalto alla dimensione collettiva di quella tragedia, anche per i cattolici. Mentre l’opera dei cattolici fu importante anche e soprattutto fuori dalla resistenza armata. Creando ciò costantemente e giorno dopo giorno quel tessuto umano e sociale fatto di incontro e di solidarietà, di buone parole e di conforto di tanti sacerdote verso le persone scosse dalla guerra e dal male.
Tutto questo ha svolto un ruolo sicuramente non secondario, negli andamenti già nefasti della vicenda, ma che avrebbero potuto prendere pieghe ben peggiori. Una resistenza, quella dei cattolici, che possiamo dire di tipo morale. Che ha però toccato una componente molto alta della popolazione italiana. Con molti cittadini che si sono trovati immersi nella guerra senza avere nemmeno contezza di quanto stava succedendo, da un giorno all’altro.
Negli anni novanta, però, numerosi convegni hanno infine deciso di dare risalto a questa dimensione dimenticata. E soprattutto a tutti i nomi e i volti della vite perdute in quei tragici momenti. Uomini e donne, giovani e adulti, che ispirati dalla Parola del Vangelo hanno provato a ristabilire nel nostro paese pace e libertà.
Nomi come Gino Pistoni, Aldo Gastaldi, Luigi Pierobon, Paolo Emilio Taviani, Maria Eletta Martini, Giuseppe Perotti. Oppure il beato Alberto Marvelli, Benigno Zaccagnini, Tina Anselmi, don Giuseppe Pollarolo, don Berto Ferrari, don Primo Mazzolari. E poi Pietro Pironi, Antero Cantarelli, Flavio e Gedeone Corrà, don Aldo Mei, don Giuseppe Morosini. E ancora, don Pietro Pappagallo, Anna Maria Enriques Agnoletti, Odoardo Focherini, padre Placido Cortese, Giovanni Palatucci, Tullio Vinay.
Nomi ricordati dal settimanale Famiglia Cristiana. Persone che hanno combattuto o che sono state fucilate, ma che non portavano con sé alcun sentimento di odio o di vendetta. Solo vittime del male, della violenza gratuita, alimentata dalla distanza dal Signore Gesù Cristo, “Principe della pace” (Isaia 9:6).
Che è morto in Croce per l’umanità, e per i suoi peccati, che si incarnano anche e soprattutto nelle guerre e nella violenza. Per questo, anche oggi, chiediamo al Signore, mentre siamo preghiera: Signore, libera nos a malo, “liberaci dal male” (Mt 6, 13).
Giovanni Bernardi
Fonte: famigliacristiana.it
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