«La religione dovrebbe essere strumento di rispetto e convivenza pacifica, ma quando viene usata per compiere atti di violenza, significa che il credo è uscito dal suo ruolo». Izzedin Elzir, presidente dell’Ucoii, Unione delle Comunità Islamiche d’Italia, e imam di Firenze, che ribadisce l’assoluta condanna – già ufficializzata ieri con un comunicato stampa dell’associazione – nei confronti di chi si è macchiato dell’azione terroristica ai danni della redazione del giornale satirico Charlie Hebdo.
– Quanto è forte il rischio che questo atto criminoso alimenti l’ostilità nei confronti del mondo musulmano?
«Purtroppo questo rischio esiste. Ci sono estremisti – anche non musulmani -, che cercano di sfruttare questi atti criminali per creare barriere, erigere un muro fra musulmani e non musulmani. Questo è il vero obiettivo di chi non vuole il dialogo, non ama gli spazi di libertà. Anzi, questa gente gode quando ci sono manifestazioni anti islam o dichiarazioni di islamofobia da parte di qualche leader politico. Ma il nostro dovere come uomini e donne di fede, in momenti come questi, è di intensificare il dialogo e il confronto, per una convivenza pacifica. Certo, è lunga e difficile, ma se vogliamo un presente e un futuro tranquilli, quella dobbiamo percorrere. Se, invece, ci ritiriamo ognuno nel proprio ghetto, questo farà il gioco degli estremisti».
– Stamattina, papa Francesco ha aperto la messa a Santa Marta con un pensiero alle vittime, ma tornando a sottolineare la necessità del dialogo.
«Chi fa il dialogo, ne conosce l’importanza. E questo Papa viene dall’Argentina, dove è stato capace di dialogare. Se abbiamo fede e siamo uomini e donne di buona volontà, la convivenza pacifica è l’unica strada da percorrere».
– Alcuni dicono che la violenza è insita nell’Islam. E si rifanno al “jihad”, traducendo questa parola con “guerra santa”. Che cosa rispondiamo loro?
«Jihad è una bellissima parola, non vuol dire violenza, la parola è usata anche come nome, sia per una maschio, che per una femmina. Jihad è lo sforzo per vivere appieno la parola di Dio. Chi compie atti di violenza, non vive i principi dell’Islam e per questo si pone contro il jihad».
– Le prime indagini hanno portato alla conclusione che gli attentatori erano di ritorno in Europa dopo aver combattuto in Siria. Perché c’è questa attrazione di giovani musulmani verso la possibilità di combattere in Siria, o di affiliarsi a organizzazioni terroriste come l’Isis?
«Questo è un fenomeno che va trattato in senso sociologico non religioso. Qualche giovane che si sente emarginato, cerca di dare una risposta estremista, oggi c’è la bandiera dell’Isis, ieri c’erano le Brigate Rosse, e così via. Questi giovani che, grazie a Dio sono una piccola, piccola minoranza, cercano risposte e le trovano in queste bandiere che presentano ideali forti. Il nostro dovere è creare una cultura nuova, dove la violenza non trovi spazio. Bisogna puntare sull’educazione, ma dobbiamo anche influire sulla situazione politico-sociale, non delegando solo alla politica, o alla religione, o alla cultura, ma lavorando tutti insieme, ognuno assumendosi le proprie responsabilità».
– Ma la convivenza è davvero possibile?
«Ci sono più di un miliardo e mezzo di musulmani e più di un miliardo e mezzo di cristiani che, nel 95 per cento, vivono in pace e nel rispetto reciproco; poi c’è una piccola minoranza che cerca di destabilizzare questa convivenza usando la religione per cercare di allontanarci. E quando siamo lontani gli uni dagli altri, l’altro è visto come un nemico, invece che come una risorsa e una ricchezza».
– Che cosa pensa l’Islam della satira sui temi religiosi?
«Come musulmano preferisco fermarmi alla condanna della strage di Parigi, perché andare oltre, potrebbe essere interpretato come il cercare di dare una giustificazione a quello che è e resta solo un atto criminale. E poi le famose vignette risalgono a una decina di anni fa, è evidente che si tratta di un pretesto».
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