Negli anni ’50, un uomo di colore, di nome Oliver Brown, voleva iscrivere la sua figlioletta, di 9 anni, alla scuola elementare di Topeka, nel Kansas.
In quel tempo, soprattutto negli Stati Uniti d’America, il razzismo imperversava (e nemmeno oggi è del tutto debellato), tanto che alle persone di colore erano riservati locali e posti sugli autobus appositi, per non farli entrare in contatto coi bianchi, per tenerli ai margini della società.
La segregazione razziale obbligava, dunque, la gente di colore a stare con altra gente di colore e al signor Brown fu risposto, infatti, di portare la figlia in un istituto per “soli neri!”.
Quel padre, però, non si arrese e portò il caso in tribunale. A lui si unirono altri genitori, che desideravano garantire, ai propri figli, una buona istruzione, come quella dei figli dei bianchi.
Così, il caso divenne di dominio pubblico e la sentenza della Corte Suprema dovette porre, finalmente, fine alla segregazione razziale nelle scuole.
Nel 1954, la Corte Suprema dichiarava: “intrinsecamente iniquo separare le strutture scolastiche”.
E ciò cambiò di netto il sistema scolastico negli Stati Uniti.
Proprio in questi giorni, quella bambina di 9 anni, Linda Brown (oggi 76enne), emplema del riscatto di coloro che volevano pari opportunità nelle scuole per tutti i bambini, ci ha lasciati, ma è stata e sarà ricordata, per tutti i secoli a venire, come il simbolo del diritto all’istruzione, ottenuto dai neri americani.
Anche la National Association for the Advancement of Colored People (Associazione
Nazionale per la Promozione delle Persone di Colore, associazione che negli USA difende i diritti civili) ha scritto per lei: “Da ragazza, il suo coraggio, di fronte alle più oscure tenebre della storia americana, ha cambiato radicalmente la nostra Nazione. Per questo, le esprimiamo la nostra eterna gratitudine”.
E il nostro pensiero va anche a tutti coloro che ogni giorno, nel mondo, subiscono ancora atti di razzismo, segno di un insensato, mancato rispetto per il prossimo.
Antonella Sanicanti