Ha suscitato molto scalpore la presunta intervista in cui Eugenio Scalfari chiedeva a Papa Francesco dove finissero le anime dannate ed in cui, sempre secondo lo scritto del giornalista, questo rispondeva che non finivano da nessuna parte, scomparivano, poiché in realtà l’inferno non esiste. Il clamore era lecito dato che con quelle parole il Santo Padre avrebbe negato millenni di insegnamento cristiano, ma la verità è che quella intervista non è mai stata fatta e Papa Francesco non ha mai detto che le anime dei peccatori scompaiono nel nulla, come confermato dai comunicati della Sala Stampa Vaticana.
La funzione dell’inferno secondo i vangeli e la dottrina cattolica
Essendo digiuni di catechismo si potrebbe pensare che la scomparsa dell’esistenza in caso di peccato mortale sia in effetti una pena commisurata alla grave colpa di cui ci si è macchiati, ma in questo modo, in realtà, la pena non sarebbe massima poiché si concluderebbe al momento stesso della morte. Secondo la dottrina cattolica, infatti, al massimo rifiuto (la mancata accettazione del fine ultimo della vita), corrisponde una pena altrettanto massima, ovvero l’esclusione dal Paradiso per l’eternità. La mancata esistenza dell’anima produrrebbe sì lo stesso risultato con l’esclusione dalla beatitudine eterna, ma non avrebbe lo stesso effetto poiché l’anima che non ha accettato Dio non potrebbe provare dolore per l’esclusione dal Paradiso.
Di questa interpretazione delle Sacre Scritture si è fatto portavoce San Tommaso D’Aquino, uno dei massimi teologi della storia della Chiesa, che sull’aldilà diceva: “L’equità naturale esige che ognuno sia privato di quel bene contro il quale agisce: perché con questo egli si rende indegno di tale bene”, quindi aggiunge: “Si può peccare in modo da distogliere del tutto l’intenzione dell’anima dall’ordine verso Dio, che è il fine ultimo di tutti i buoni. Ora, se la diversità delle pene deve essere secondo la diversità dei peccati è logico che colui che pecca mortalmente deve essere punito con la perdita del fine proprio dell’essere umano”.
Quelle di Tommaso D’Aquino sono interpretazioni dei Vangeli, dove in più di un passo si fa riferimento alla pena subita dai peccatori e ad un luogo dove le anime dei peccatori sconteranno le proprie pene tra le fiamme: “Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti gli operatori di iniquità e li getteranno nella fornace ardente dove sarà pianto e stridore di denti” (Matteo 13, 41-42), ma anche: “Gesù gli domandò: ‘Qual è il tuo nome?’. Rispose: ‘Legione’, perché molti demoni erano entrati in lui. E lo supplicavano che non ordinasse loro di andarsene nell’abisso” (Luca 8, 30-31).
Questi sono solo due degli esempi che mostrano come nei Vangeli si parli dell’inferno come luogo eterno di perdizione e punizione. D’altronde in mancanza di un simile luogo, il sacrificio affrontato da Gesù perderebbe qualsiasi significato finora dato, poiché non ci sarebbe una dannazione eterna da evitare, non ci sarebbe una lotta tra il bene ed il male, ma la semplice scelta di aderire ad una vita eterna o decidere che quella vissuta è stata sufficiente.
Luca Scapatello