L’incoerenza tra opere e parole e quella tra opere e pensiero sono due peccati di cui si possono macchiare tutti gli uomini. D’altronde la mancanza di fermezza fa parte dell’indole dell’uomo, ma può essere limitata con la forza di volontà e scusata con un periodo di penitenza ed una confessione. Ma se è già grave l’incoerenza dei parrocchiani lo è maggiormente quella di chi, con le sue opere dovrebbe dare l’esempio che la dottrina non è pura parola scritta su carta, ma espressione della volontà divina.
La gravità di una simile difformità è data dalla conoscenza profonda che i ministri hanno delle cose spirituali, proprio per questo una simile discrepanza tra parole ed opere crea una deformità. Chiaramente non si parla di chi commette un singolo peccato ma di chi è talmente abituato a differire dalle sue parole sulla santità e sulle virtù che il suo agire in base ai più bassi istinti e vizi non viene più percepito come un assurdità.
L’incoerenza è un vizio che insidia molto da vicino i fedeli praticanti e a cui non sono esenti persino i consacrati. Chi è vittima di questo vizio cade in una vita misera, disprezzata sia da Dio che dagli esseri umani. Molto pregnanti in questo senso le parole il Signore rivolge a queste persone nell’Apocalisse 3, 15-16: “Non sei né freddo e né caldo. Ma perché sei tiepido … sto per vomitarti dalla mia bocca”.
Queste parole dimostrano come Dio non si accontenti del servilismo, non voglia la vuota presenza sulle panche, ne si accontenta della recitazione delle preghiere. Dio ci chiede di imparare ad amare, di aprirci sinceramente al nostro prossimo, offrire lui il nostro aiuto sia fisico che morale in modo da far rivivere i suoi dettami nei nostri gesti.