L’obbedienza di Padre Pio

Padre-Pio

L’obbedienza di Padre Pio a Dio e alla Chiesa
Il senso soprannaturale, il valore santificatore ed eroico di un voto la cui pratica deve sempre rispondere alle esigenze della fede senza mortificare quelle della ragione
La figura di Padre Pio si affaccia nell’orizzonte della santità in una ricchezza straordinaria di virtù, di carismi e di eventi singolari. Questa complessità ha determinato da tempo in tutto il mondo un movimento di ammirazione e di curiosità, di cui in questi mesi sentiamo crescere l’intensità e l’entusiasmo. Ma è noto che la Chiesa, nell’esaltare gli atleti dello spirito, punta decisamente sull’eroismo delle virtù: sia teologali (fede, speranza e carità) sia cardinali (prudenza, giustizia, fortezza e temperanza), e virtù connesse come l’umiltà, la pietà eccetera. Ebbene, in queste pagine non intendo narrare fatti prodigiosi (del resto abbastanza conosciuti), né descrivere le virtù ora nominate, ma solamente parlare dell’obbedienza religiosa del Beato, per una ragione primaria: l’obbedienza costituisce uno dei tre “nodi” – gli altri due sono la castità e la povertà – con cui i religiosi, ossia monaci, frati, suore e consacrati in genere, si donano a Dio secondo lo spirito del Vangelo; Gesù, infatti, ha proclamato beati, ossia membri del suo Regno, tutti coloro, uomini e donne, che si consacrano a Lui mediante questi tre “nodi”.

Padre Pio chiamato da Dio ad un’oblazione totale
Padre Pio scelse l’Ordine dei PP. Cappuccini perché sin dalla sua fanciullezza esso gli parve come l’ideale più conforme a Gesù sofferente e il più evangelico nella pratica dei tre nodi religiosi. Già a cinque anni (come attestano alcuni testimoni processuali) egli sentì l’attrattiva verso la vita religiosa cappuccina, benché gli fossero additati l’Ordine benedettino, gesuitico e la stessa vita sacerdotale in diocesi. Ma P. Pio si deve individuare nella sua straordinaria statura di religioso attraverso una realtà originaria che è la sua illibata giovinezza e la perpetua fedeltà alla purezza. A mio giudizio il fondamento della sua vita santa risiede in questa grazia eccezionale di esibirsi a Dio come offerta profumata di una vita tutta intatta. Consta infatti dall’Epistolario e dall’immaginetta della sua prima S. Messa che egli si offrì vittima perfetta (cfr. Summarium, p. 424). Al P. Carmelo Durante, che fu guardiano a San Giovanni Rotondo dal 1952 al 1959, confidò : “Grazie al Signore e alla Madonna ho conservato l’innocenza battesimale” (Summarium, p. 830).
Così P. Pio non solamente avrebbe offerto a Gesù Salvatore una vita povera, anzi poverissima, come allora si praticava tra i PP. Cappuccini della Provincia di Foggia, ma anche la sua castità perfetta e soprattutto la sua obbedienza a Dio attraverso i Superiori. Ciò spiega perché i più eminenti biografi di P. Pio hanno caratterizzato la vita del Beato nell’immolazione secondo la migliore “theologia crucis”. Così scrissero P. Gerardo Di Flumeri, P. Melchiorre De Pobladura e P. Alessandro da Bottone. Lo stesso Card. Ciappi O.P. definì P. Pio “il mistero dei misteri” (Positivo, vol. III, p. 2541), ossia sacrificio intimo di tutta la vita dalla puerizia fino alla morte, come oblazione perfetta gradita a Dio; e non semplicemente “offerta quotidiana di sé” ed esperienza interiore di vocazione a corredimere (come fu scritto arditamente), ma cercata, voluta, gradita immolazione attraverso il sacerdozio in unione con Gesù crocifisso inchiodato sulla croce, trafitto, Agnello senza macchia.
Il 21 aprile 1915, da Pietrelcina, ove P. Pio da giovane sacerdote attendeva un miglioramento di salute che gli consentisse il ritorno al convento, scrisse a P. Agostino suo superiore: “Eppure, padre mio, ho grandissimo desiderio di soffrire per Gesù” (Positivo, vol. II, p. 1250). La sua sofferenza toccò l’apice del martirio in unione con Gesù crocifisso quando, durante la visita canonica di Mons. Maccari, nel 1960, con il cuore spezzato scrisse: “Non so dove poggiare la testa. Pochissimi mi sono rimasti e gli altri mi hanno tradito” (Positivo, vol. II, p. 1983). Ma già nel 1919 P. Pio aveva scritto al medesimo P. Agostino evocando il sacrificio cruento di Gesù: “Ecco tutta la ragione perché desidero soffrire sempre più e soffrire senza conforto; e di ciò faccio la mia gioia” (ibid., p. 1169). E già sacerdote e apostolo a San Giovanni Rotondo a don Nello Castello, sacerdote padovano sospeso a divinis da Mons. Bortignon di Padova, ribadì: “Ricordati che essere prete significa essere propiziatore; essere Messa … La Messa non è che una continua agonia sul Calvario” (ibid., p. 1982).

Lo stile dell’obbedienza di P. Pio
Quanto ho detto, offre il criterio per valutare lo stile e il carattere oblativo della sua obbedienza. La prima caratteristica che delinea tale “nodo” (come lo chiamava P. Pio) è il suo senso soprannaturale: P. Pio intese sempre obbedire a Dio, anche quando il comando proveniva dagli uomini. Il signor Lazzaro Cassano, che conobbe P. Pio sin dal lontano 1919 come fratino e che poi, vivendo nel mondo, visse sempre in unione spirituale con P. Pio, depose al processo canonico: “P. Pio amava l’obbedienza incondizionata e responsabile ai Superiori, al Papa e alla Gerarchia ecclesiastica. La volontà dei Superiori per P. Pio è quella di Dio, e quindi l’obbedienza è assoluta. Diceva: “L’obbedienza è la virtù che ti santifica; è cosa grande l’obbedienza””. P. Pio obbedì sempre con profonda umiltà e la sua obbedienza è stata eroica, perché “in lui c’era l’umiltà” (Summarium p. 571). Per questo carattere soprannaturale soleva ossequiare i Superiori, i Prelati, inginocchiandosi per ricevere la benedizione. In quell’atto – precisa il signor Cassano – ripeteva: “Sono figlio dell’obbedienza”.
Il secondo aspetto dell’obbedienza religiosa è il suo valore santificatore: per santificarsi bisogna obbedire. In tal senso esiste una testimonianza di P. Clemente, Cappuccino da S. Maria in Punta che fu superiore di P. Pio dal 1963 al 1968; egli riferisce una memoria del giovane Francesco Forgione, che nel giorno di entrata nel noviziato di Morcone, udì in sé una voce che esortava il futuro P. Pio ad entrare nell’Ordine dei Cappuccini. Il ragazzo rispose con queste parole: “Volevo sempre e sempre volevo obbedirti, volevo morire piuttosto che venire meno alla tua chiamata”. E specificava: “La voce mi diceva: “santificati, santificati”” (Summarium p. 503). Questo pensiero è precisato dall’esclamazione di P. Pio proferita negli anni difficili del 1961-64. “Il mio Paradiso è fare la volontà dei superiori” (Summarium, p. 175). L’obbedienza permette perciò il progresso nella preghiera; la preghiera esige la virtù dell’obbedienza. Affermava P. Pio: “… se mi ribello ai Superiori, come potrò mettermi alla presenza di Dio per chiedere il suo aiuto?” (Summarium, p. 251). E P. Pellegrino Funicelli Capp. commenta: “L’obbedienza cambiava la sua preghiera in una specie di estasi” (ibid.).
Altra caratteristica dell’obbedienza di P. Pio fu l’eroismo (Positivo, II, par. 139, 272, 620 ecc.), o, come dissero altri “totale” (ibid., par. 2022), o (per attenerci alle osservazioni preliminari) “olocausto perfetto” (ibid., par. 2023). L’eroismo consiste non già e solamente nella perfetta esecuzione del comando, ma anche nel sacrificio intellettuale; mi spiego: talora un ordine può risultare impossibile, assurdo, inaccettabile. Ebbene, il religioso che accetta mentalmente l’ordine ricevuto e lo esegue contro tutte le suggestioni contrarie o le opinioni personali, offre a Dio un sacrificio inestimabile di adorazione.

Non cieca obbedienza
P. Pio, però, non intendeva l’obbedienza come un atto del tutto cieco; anzitutto, possedendo un temperamento emotivo, a certe prescrizioni opponeva un primo impulso di resistenza. Afferma il già citato P. Funicelli: “Provava reazioni nell’obbedire, ma si dominava. Gli impulsi di ribellione erano immediati e decisi. Ma, superati in brevissimo tempo i moti reazionari, egli obbediva sempre con serenità e scrupolosità” (Summarium, p. 250). E poco più avanti egli riporta una dichiarazione di P. Pio: “Figlio mio, io ho un brutto temperamento. Spesso senza accorgermene, quando non condivido le disposizioni del Superiore, glielo dico chiaro e tondo, anche se poi rispetto scrupolosamente le sue disposizioni. Chiedo ogni giorno alla Madonna di avere un po’ di dolcezza e tenerezza nell’obbedire al Superiore della Chiesa” (ibid., p. 256). Infatti P. Pio nell’obbedire doveva rispondere non solo alle ragioni della fede, ma anche alle ragioni della ragione. Per le prime si può sempre affermare che P. Pio obbedì ciecamente, come depone fra’ Modestino Capp.: “Negli anni vissuti accanto al Servo di Dio ho notato in lui un’obbedienza eroica, cieca e pronta a qualsiasi ordine anche minimo” (Positivo, III, par. 278); per le seconde P. Pio era vincolato da impegni di giustizia e di verità: si pensi ad esempio alle sue responsabilità amministrative per l’erezione della “Casa sollievo della sofferenza”, a situazioni penose per i clamori di certi giornali scandalistici. Egli, per non macchiarsi di menzogna e di complicità, si spiegava con il superiore finché questi lasciava aperto un dialogo franco e ragionevole. Riferisce un teste questa frase in proposito: “L’ho sentito dire che la Chiesa ha bisogno non di teste di morti che non sanno ragionare, ma di persone intelligenti che sappiano usare il cervello” (Positivo, III, par. 528). A chi gli obiettava che tale condotta comprometteva l’obbedienza, rispondeva: “È meglio correre questo rischio anziché obbedire da ebeti” (ibid.). Ma chiusa la fase dialogica, P. Pio si rimetteva all’obbedienza, come afferma un altro teste: “Mi risulta che P. Pio è stato sempre obbediente fino allo scrupolo verso tutti gli ordini dei Superiori, anche quando erano ordini pesanti e mortificanti” (Positivo, II, par. 400). Un solo esempio: don Nello Castello, della diocesi di Padova, era stato sospeso a divinis dal suo Vescovo per presunta ribellione; il povero sacerdote amareggiato si rifugiò a San Giovanni Rotondo per trovare conforto nella prova; andò dunque a confessarsi da P. Pio che gli disse: “Figlio mio non posso più confessarti”. Alle resistenze del sacerdote (che avrebbe pagato per ben dieci anni quella dura punizione), P. Pio rispose: “Sottomissione” (Positivo, II, par. 2018). Il sacerdote di rincalzo osservò che il Vescovo condizionava l’assoluzione dalla condanna alla confessione di colpe non commesse. Allora P. Pio rispose: “Questo poi no! Non è lecito dire il falso”.

Le finezze dell’obbedienza di P. Pio
Alla luce di questa indole teologica orante ed eroica dell’obbedienza di P. Pio si spiegano certi episodi “francescani”. P. Tarcisio Zullo annota: “Anche nelle piccole cose P. Pio dipendeva dai superiori. L’ho visto qualche volta chiedere al Guardiano con tutta umiltà qualche francobollo da dare ai poverelli. Come pure conservava l’uso del noviziato di chiedere al Superiore il permesso di farsi la tonsura. Un amico di Roma, Amelio De Simone, regalò a P. Pio un condizionatore d’aria. Non voleva accettarlo, ma ci volle dell’obbedienza di P. Agostino da S. Marco in Lamis, guardiano, perché lo accettasse.
Dopo aver chinato il capo all’obbedienza, P. Pio diceva: “San Francesco non sarà contento di me”. Voglio pure far notare che istallato nella stanza del Servo di Dio suddetto condizionatore, P. Pio se ne servì quasi mai” (Summarium, p. 628). Padre Carmelo di S. Giovanni in Galdo tra l’altro depone: “Fino ad un paio d’anni prima di morire e prima che si muovesse accompagnato sulla carrozzella, tutte le sere dopo al funzione serotina e la breve ricreazione con alcuni figli spirituali, egli passava davanti alla mia cella, picchiava alla porta, si copriva il capo, si chinava a mani giunte e mi chiedeva la santa benedizione. Poi mi dava la “buona notte”, mi salutava baciandomi la mano ed abbracciandomi e quindi si ritirava nella sua cella attigua alla mia. Una scena da “fioretti” che mi commuoveva tanto e mi riportava al profumo ed alla freschezza del noviziato, quando noi giovani novizi ci inginocchiavamo davanti al padre maestro e gli chiedevamo la santa benedizione” (Positivo, parte IV, p. 2004).
In occasione del venticinquesimo di Ordinazione sacerdotale a S. Giovanni Rotondo si volle preparare la ricorrenza con tutta solennità. P. Pio ne era felice e sorrideva; sennonché la vigilia della festa un improvviso ordine da Roma smontava tutti i preparativi. La sera prima fu P. Pio ad avvicinare P. Aurelio da S. Elia a Pianisi e lo confortò assieme ai confratelli dicendo: “Dopotutto, venero la mano che mi percuote. Ubbidisco volentieri anche se mi si vuol mortificare tanto”. Il medesimo P. Aurelio precisa: “Con tutte le drastiche disposizioni, preparai tutto bello l’altare e i più vistosi paludamenti sacerdotali che erano stati inviati per l’occasione. Scese in sagrestia e fu lui a dirmi: “Tu ed io abbiamo fatto voto di obbedienza. Non possiamo, per una festa, tradire il voto fatto”” (positivo, parte IV, p. 2098).
C’era in P. Pio ciò che Mons. Giuseppe Del Ton scrisse confidenzialmente al Card. Prefetto della Congregazione della Fede in data non precisata: “… P. Pio mi è apparso veramente umile e gioioso. Perfettamente conscio dei carismi che possiede e disinvolto… È gustosamente gioviale…” (Summarium, p.1188).
Questa soavità non disdiceva alla sua obbedienza, poiché l’offerta a Dio di questo “nodo” si può paragonare alla mitezza di un agnello sacrificato. Così ad esempio depone fra’ Modestino Fucci da Pietrelcina, che fu in stretto contatto con P. Pio sin dal 1947 fino alla morte. Dichiarò: “Quando mi confessavo da lui spesso mi consigliava di fare sempre l’obbedienza. Mi diceva: “Figlio mio, fa quello che ti dicono i superiori. Farai la volontà di Dio e ti troverai bene”” (Summarium, p. 145). E lo stesso fra’ Modestino commentava: “La vita di P. Pio è costellata di atti di obbedienza eroica in circostanze a volte drammatiche” (ibid., p. 146).
È di P. Pio l’edificante affermazione: “Dei tre “nodi” (della vita consacrata) quello dell’obbedienza ci offre più degli altri (due) il senso del nodo e del legame con la Chiesa” (Summ., p. 251). Un giorno nel corridoio attiguo alla sua stanzetta P. Piò uscì con questa invocazione: “O Santa Autorità della Chiesa, aiutami tu”. Ma accanto un confratello udì quella voce e con ironia commentò: “Non valeva la pena invocare l’aiuto di poveri uomini come sono i Superiori”. P. Pio di scatto ribatté: “Questo spirito di gallina tientelo per te. La Chiesa in questa autorità è sempre meglio invocarla che calpestarla come fai tu” (Summ. p. 246).

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