I dati ci dicono che il coronavirus ha risparmiato i giovani, almeno dal punto di vista sanitario. Ma dal punto di vista del lavoro?
Le previsioni sulla disoccupazione giovanile infatti crescono in tutto il mondo, e in Europa risultano particolarmente allarmanti.
In Italia, ancora di più. Nella fascia che va dai 20 ai 35 anni, infatti, il dato diffuso dall’Organizzazione internazionale del lavoro tratteggia una realtà terribilmente triste.
Un giovane su sei, dopo la diffusione del coronavirus, ha smesso di lavorare. Tra quelli che hanno mantenuto il posto di lavoro, le ore retribuite perse sono almeno il 23 per cento. E le donne, sostiene il Corriere della sera, sono state le più penalizzate.
I soggetti su cui si sono manifestate le maggiori difficoltà sono i ragazzi degli ultimi anni delle scuole superiori, quelli che stavano sostenendo un percorso di apprendistato, e infine chi stava preparando in questo periodo l’ingresso nel mondo del lavoro.
Insomma, se il coronavirus ha creato un terremoto dal punto di vista economico, i giovani sono i primi che rischiano di caderci dentro. Se le previsioni facevano pensare a una sostituzioni dei giovani con i più anziani nel mercato del lavoro, ora ci si sta accorgendo che non è affatto così.
I nuovi posti di lavoro sono creati da un’economia forte, e questa al momento non c’è. Anzi, rischia di diventare molto debole nei prossimi mesi.
“La ripartenza sarà lenta e faticosa”, scrive il Corriere della Sera. “Senza politiche di sostegno mirate e monitorate, non ci sarà affatto per i 178 milioni di giovani che erano attivi nei settori più aggrediti dalla crisi e per quei 328 milioni titolari di lavori precari”.
Non si parla perciò solamente di numeri, di economia, di produzione. Si parla di un’intera generazione che rischia di trovarsi in grosse difficoltà, di essere brutalmente messa da parte. Rischiamo cioè di perdere i nostri giovani, di non dare possibilità ai ragazzi di creare nuove famiglie. Di sostenere cioè il futuro di tutti.
Per questo c’è bisogno di un cambio di marcia, di rivedere le priorità socio-economiche. Nel mezzo della crisi demografica più pesante della storia repubblicana, in un momento in cui tra le mille difficoltà che si vivono, purtroppo la politica pensa di mettere la polvere sotto il tappeto occupandosi di tematiche totalmente distanti dalla realtà dei bisogni comuni.
Ma questo non è il bene del Paese. Se non c’è lavoro, non c’è reddito, e si finisce per restare a casa con i genitori. I ragazzi non riusciranno mai a costruire la propria autonomia. E non costruiranno famiglie. Il sistema sociale si sta sgretolando su se stesso, e c’è chi pensa che tutto ciò si possa risolvere continuano con battaglie ideologiche che non portano da nessuna parte.
Servono garanzie di tutela economica, e bisogna fare in modo che i giovani possano costruire il proprio futuro su basi solide. “Senza garanzie di tenuta economica, le competenze sociali – quelle che si consolidano nel passaggio fra giovinezza e vita adulta – restano deboli, annacquate dall’incertezza costante”, scrive il quotidiano di via Solferino.
La mancanza di lavoro spegne i talenti del nostro Paese e li obbliga a una quarantena a tempo indeterminato, a uno spegnimento. La società si deprime e si impoverisce, e si rischia di andare verso il baratro collettivo.
Un’indagine promossa dalla Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro spiega che un giovane su cinque, in questi mesi di coronavirus, si è sentito totalmente solo. Molti sono nervosi, insoddisfatti, sconfortati. Indicatori “inquietanti”, che contrastano con la voglia di “spaccare il mondo” che normalmente caratterizza i giovani.
“Quella tempesta chimica di euforia, voglia di fare e di rischiare, che l’evoluzione umana ha concentrato in una speciale stagione della crescita personale potrebbe andare a sbattere contro un muro anomalo: contro il paradosso di una depressione che spegnerà la carica dirompente — e salutare per l’intero corpo sociale — di quella che comincia a venir pericolosamente definita la ‘lockdown generation’ o la generazione più sfortunata”.
Il problema è cioè prettamente politico. La politica deve farsi carico al più presto, cioè fin da subito, di questa emergenza. Cercando di incidere sulle problematiche che segnano il Paese da tempo immemori. Sul familismo culturale che pervade il Paese. Sulla mentalità in cui comandano sempre i più anziani, e i giovani non hanno alcuno spazio di crescita.
Sullo svantaggio che hanno i ragazzi che vengono da territori periferici, in termini occupazionali e di mobilità sociale. Sulla mancanza di punti di incontro tra formazione e lavoro. Sull’incapacità di trattenere qui le nostre menti migliori. Se non si da una scossa a tutto questo, l’orizzonte si fa sempre più scuro.
Giovanni Bernardi
fonte: corriere.it
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