Anche Padre Pio diceva, a coloro che provenivano da Corato (Bari) e dintorni, che avrebbero potuto rivolgersi alla mistica della loro zona e parlava di Luisa Piccarreta.
Oggi la sua condizione di mistica e di Santa donna è riconosciuta dalla Chiesa, ma non è stata sempre vista di buon occhio e tenuta in conto, come spesso capita in questi casi. Nata alla fine del 1800, da un’umile famiglia, si sentì, sin da piccola, chiamata a servire in maniera particolare il Signore, nonostante le difficoltà che avrebbe dovuto affrontare.
Non si è mai mossa dalla sua città, nemmeno dalla sua stanza, in realtà, ma comunicava con Cristo e meditava la sua Passione: lo fece per tutta la vita. Era solo una bambina, quando le capitò un fatto particolare: pensando proprio agli ultimi attimi della vita di Cristo, si sentì venir meno, tanto che ebbe bisogno di affacciarsi al balcone per prendere un po’ di aria. E, guardando in strada, vide la scena di Gesù che si dirigeva al Calvario, svolgersi fra la folla davanti a lei. Gesù, caricato della croce, la guardò, dicendole: “Anima, aiutami!”.
Luisa mantenne quella promessa, come se volesse essere connessa a Cristo per sempre e accompagnarlo in quella sua missione sulla terra. A Corato c’è ancora la casa in cui aveva vissuto e, li accanto, un albero di gelso. All’interno dell’albero (in un foro nella corteccia) lei si rifugiava, quando si sentiva, sin da bambina, vessata e tentata dal maligno, che cercava di catturarla.
Durante la comunione, poi, parlava con Gesù, ma per il resto nel tempo, insegnava a tessere con il tombolo, mentre spiegava l’amore di Dio, regalando consiglio e conforto a chi glielo chiedeva. Le capitava, ogni notte -ma anche durante il giorno a volte- di cadere in uno stato di immobilità assoluta, di rigidità, che durava fino a quando non riceveva una benedizione dal sacerdote, ossia il tocco dello Spirito di Dio, che la riportava al quotidiano.
Era così che ogni mattina doveva svegliarsi, Luisa. Era come vincolata alla figura del rappresentante della Chiesa, quasi a sancire una sua sottomissione/unione col Corpo Mistico del Signore. Il nome del luogo in cui visse tutta la sua intera esistenza, dove ora sorge un gruppo che porta avanti la devozione della donna, e denominato “Divin Volere”.
Quello, infatti, era il suo motto, che anelava a sgombrare ogni situazione dalla superflua angoscia, accettando, come figli di Dio, di conoscere e attuare il progetto che il Padre ha riservato per ognuno, nell’umiltà più assoluta e nell’abbraccio mistico col Creatore.
Anche molti prelati dubitarono della sua genuinità e tanti le si avvicinavano solo per curiosità o per capirla meglio. Ma non don Annibale Maria di Francia, un sacerdote oggi Santo che, in quel tempo, aveva aperto un orfanotrofio li vicino. Fu lui a chiedere a Luisa di scrivere del suo rapporto con Dio, per diffondere la fede ed essere di esempio a tanti nel mondo.
Antonella Sanicanti
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