Papa Francesco ha ricevuto in Vaticano padre Pierluigi Maccalli, il missionario liberato lo scorso 8 ottobre in Mali dopo essere stato rapito in Niger nel 2008.
Maccalli, missionario cinquantanovenne della Società delle Missioni Africane appartenente alla diocesi di Crema, ha vissuto per due anno in mano dei sequestratori. In questo periodo di tempo è stato sbalzato continuamente da un gruppo all’altro. Per la maggior parte, jihadisti appartenenti ad Al Qaeda.
Durante l’incontro, è stata grande la commozione dell’uomo, ha raccontato ai media vaticani. “È stato un incontro molto, molto bello. Io mi sono emozionato, soprattutto raccontando al Papa quanto ho vissuto e poi affidando alla sua preghiera, soprattutto le comunità nelle quali io andavo e che ora sono rimaste sprovviste di una presenza missionaria e di un sacerdote da ormai più di 2 anni”.
Maccalli ha chiesto al Pontefice di pregare per la Chiesa del Niger, e Papa Francesco, ha raccontato, lo ha ascoltato con molta attenzione. I ringraziamenti di padre Pierluigi sono andati soprattutto alle tante preghiere a lui dedicate, dal Pontefice e dall’intera Chiesa. L’applauso chiesto da Francesco alla piazza dopo la sua liberazione è stato il momento culmine di un lungo percorso di sofferenza e di timore, in cui però il sacerdote non è stato mai abbandonato dalle preghiere di tanti.
“Noi abbiamo sostenuto te ma tu hai sostenuto la Chiesa“, è quello che gli ha risposto Francesco. Maccalli, nella recente omelia che il missionario ha pronunciato durante una messa celebrata nella parrocchia romana della Natività di Maria Santissima e dei Santi Martiri di Selva Candida, ha affermato di avere pregato con le lacrime.
“Ho pregato con le lacrime, con tanti perché, fino al: perché mi hai abbandonato? Ricevevo solo silenzio”, ha raccontato durante l’omelia. “Il grande silenzio del Sahara. Il silenzio di Dio. Ma caparbiamente restavo fedele alla preghiera, perché so che Lui c’è. Che è ascoltato il grido di tanti che sono passati per la notte oscura e di Gesù stesso in croce: Padre perché mi hai abbandonato? E con la preghiera portavo tutti a Dio”.
“Le lacrime sono state il mio pane per molti giorni e sono stati la mia preghiera quando non sapevo cosa dire. Me lo sono anche appuntato un giorno”, ha spiegato al giornalista che gli ha chiesto un commento su questa riflessione. “Ho letto in qualche racconto rabbinico che Dio conta il numero delle lacrime delle donne e gli ho detto: Signore, chissà che conti anche quelle degli uomini. Io te le offro in preghiera per innaffiare quella terra arida della missione ma anche la terra arida dei cuori che provano odio provocando guerra e violenza”.
Il deserto, ha poi spiegato il sacerdote, è stata un’esperienza di essenzialità. “Lì ti accorgi che essenziale è avere l’acqua da bere, avere qualcosa da mangiare, anche se è lo stesso cibo ogni giorno, cipolle e lenticchie e sardine. Ma vedi che non sono i piatti ricercati che fanno la sostanza. Così è anche nella vita spirituale: ciò che vale è lo shalom, il perdono e la fratellanza, e come missionario mi sento ancor di più spronato a essere testimone di pace, di fratellanza e di perdono, oggi e sempre”.
“Ciò che ha sorretto la mia fede è stata la preghiera. L’olio della preghiera”, ha spiegato padre Maccalli durante l’omelia nella Chiesa romana. “Mi hanno portato via in pigiama e ciabatte. Un viaggio che non avrei mai pensato sarebbe stato così lungo. Non avevo nulla. Come prete non avevo Bibbia, non avevo breviario, non potevo celebrare messa. Le mie giornate erano scandite dalla preghiera.
Mi sono fatto un rosario. Pregavo qualche salmo che ricordavo, qualche spezzone di salmo. La mia messa era semplicemente dire: Signore, questo è il mio corpo, offerto; non ho altro da darti”.
Giovanni Bernardi
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