La Madonna della Lampada di Roma, dopo essere finita in balia della acque del Tevere, stupì tutti i presenti con un prodigio che resterà nei loro cuori.
La venerata immagine è un magnifico affresco risalente al tredicesimo secolo, e si trova posizionata in una nicchia nel ponte detto dei Quattro Capi, che si trova a Roma, nel famosissimo luogo centrale e popolare della Capitale noto come Isola Tiberina.
In precedenza, questa effige sacra e miracolosa veniva più comunemente chiamata dalla popolazione “Santa Maria Cantu Fluminis”. Il popolo le teneva sempre accesa davanti una lampada a olio, a tenere viva una presenza che non li abbandona mai, nemmeno nelle difficoltà più dure. Solo in un secondo momento l’immagine fu poi rinominata con il nome, tutt’ora in uso e maggiormente noto al pubblico, di “Madonna della Lampada”.
Questa devozione tuttavia ha un’origine che si cristallizza in un momento ben preciso della storia. Siamo nel 1557, precisamente il 14 gennaio. In quella data il fiume Tevere aveva prodotto una straordinaria piena.
L’immagine sacra, in cui la Madonna è raffigurata in trono con Gesù Bambino e due angeli, finì per essere trasportata nelle acque del fiume che passa nel mezzo di quella che è oggi la capitale italiana. Lì vi restò per diversi giorni.
Nel momento in cui però la Madonna riapparve, quando l’acqua del fiume era tornata ai livelli normali di corrente e il pericolo peggiore era passata, tutti si accorsero di quanto era stranamente accaduto. L’immagine dipinta sulla tela era più fresca di prima. Il disegno non era per nulla deteriorato, ma anzi sembrava ancora più fresco di prima, come se fosse stato appena dipinto.
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Non era però l’unico particolare a destare stupore tra la popolazione. La lampada ad olio, infatti, che da sempre le ardeva dinanzi ogni giorno senza sosta, brillava ancora accesa. Così si originò il nome ancora oggi noto a tutti quanti la venerano.
Dopo quell’evento, l’immagine fu staccata e collocata nel luogo in cui ora si trova, all’interno della chiesa dell’Ospedale San Giovanni Calibita Fatebenefratelli.
Giovanni Bernardi
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