La Madonna della Ferita diede un segnale sconvolgente di fronte alla foga causata dall’odio e dalla mancanza di fede, che non lasciò mai più i cittadini.
La devozione della Madonna della Ferita si affianca a quella della Madonna del Fuoco, ben più nota a Forlì, all’interno della cattedrale cittadina. In questa, infatti, vi è un po’ in disparte una particolarissima immagine in cui è vivo il culto alla Madonna della Ferita. Un’immagine di una tenerezza unica che risulta altresì piuttosto consumata.
Quasi come se si vedessero le tracce delle mani degli antenati che l’hanno toccata, accarezzata, e che di fronte a quella splendida effige hanno chiesto a Maria una grazia per la propria vita e per i propri cari. Quell’immagine, che per molti mantiene un basso profilo, rappresenta un qualcosa di un valore spirituale e devozionale molto grande.
La storia risale molto indietro nei secoli. L’immagine si trovava infatti sul muro esterno della canonica della Cattedrale, sotto il portico che univa il Borgo Grande, vale a dire il tratto di corso Garibaldi dal Rialto a piazza del Duomo, al fianco destro della chiesa.
In questo spazio si decise di edificare un santuario a questa Madonna dipinta da mano ignota che era però già molto venerata fin nel quattrocento, per via delle grazie miracolose che dispensava a chiunque gliele domandasse con cuore puro e aperto al mistero.
Tutto riporta, in un primo momento, al luglio del 1480, quando un calzolaio forlivese di nome Andrea era stato gravemente ferito in più parti tanto da essere abbandonato in una pozza di sangue. Molti, osservandolo, pensavano che ormai non ce l’avrebbe fatta. “Non respira più”, “non ce la farà mai”, erano le parole dei presenti.
I cronisti del tempo però raccontano che quello stesso uomo moribondo, ricordandosi dell’immagine prodigiosa, “si fece portare rimpetto a la detta figura, e le si raccomandò, e in brevità di tempo ebbe grazia libera”. Da quel giorno molti forlivesi erano soliti lasciare ex voto di fianco all’affresco di grandi dimensioni, nonostante purtroppo regolarmente accadeva che alcuni teppistelli, soliti noti, finivano con il togliere gli ex voto che vi erano stati lasciati davanti.
Il 15 aprile del 1490 accadde però un fatto molto singolare. Uno stalliere che tempi addietro era stato al servizio di Pino III Ordelaffi, era a dir poco gonfio d’ira per una perdita al gioco. Con tutta questa rabbia in corpo si scagliò con violenza contro l’affresco, colpendolo a stilettate. A quell’epoca l’immagine era ancora chiamata “Maria della Canonica”.
La furia dell’uomo era tale che colpì il dipinto sul viso, sopra la guancia sinistra, e proprio un istante dopo dall’immagine sgorgò sangue vivo. Ancora oggi sono percepibili sia i segni dello stiletto che quelli del sangue sul quadro miracoloso, che da quel giorno fu conosciuto come della “Madonna della Ferita”.
Dice una cronaca dell’epoca: “Perocchè un ribaldo stallone del defunto Pino Ordelaffi inviperito per rabbia, e fuor di sè onninamente per perdita nel giuoco, con uno stile in mano si mosse furibondo, e sacrilegamente per isfogarsicontro la santa Immagine, e gli riuscì di ferirla nella faccia”.
Quell’evento miracoloso scosse profondamente il cuore dell’uomo, e mostrò a tutta la popolazione il segno tangibile della presenza di Maria, che non li abbandonerò mai più fino ai giorni d’oggi, con la devozione alla Madonna della ferita ancora ben viva e presente all’interno della cattedrale cittadina.
In quello stesso anno inoltre, ad agosto, Girolamo Muti, bolognese residente a Forlì, era caduto rovinosamente da cavallo. Il botto gli aveva procurato uno squarcio talmente violento che gli faceva uscire le interiora dal ventre. I medici lo davano praticamente per spacciato, ma dopo che gli fu portata una tavoletta dov’era riprodotta l’Immagine fu integralmente guarito.
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Saranno poi molti i fatti prodigiosi che seguirono a questo evento, e da allora i orlivesi iniziarono a raccogliere fondi per valorizzare e proteggere il manufatto, e soprattutto a venerarlo, rendendo Maria parte della propria vita e delle proprie giornate.
Giovanni Bernardi
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